Sembra che in Italia sia ormai invalsa e condivisa un’idea di lotta alla mafia intesa non come misura di polizia e intervento giudiziario ma come repressione dei suoi effetti più esteriori, ancor più se rivolti a manifestazioni pubbliche di tipo religioso. Così non solo la processione che si fermi davanti la casa del boss è diventata, in sede clericale e laica, oggetto di risentita esecrazione ma anche il funerale del capocosca, come nel caso di Vittorio Casamonica, è visto anche dalla Chiesa (vedi l’articolo monstre dell’Osservatore romano) come uno “scandalo”, effetto questo da interpretare in senso biblico e cioè come bestemmia.
Eppure, se qualcosa è scandaloso, non è tanto da biasimare una cerimonia funebre celebrata nella massima pompa magna senza però alcun oltraggio al rito liturgico, ma l’atteggiamento di Stato, società e Chiesa che anziché il reato sanzionano il peccato e che ritengono grave e abominevole in un delinquente, soprattutto se mafioso, non il delitto che commette ma l’impiego che fa del provento non solo economico del suo delitto. Rimproverano insomma al ladro di aver ostentato il bottino e non di aver rubato. Siamo alla grande ipocrisia nazionale, di una Italietta perbenista, puritana, pretesca ed eternamente democristiana che ammette le più ignobili nefandezze e condanna la loro plateale esibizione.
Nel caso delle esequie di Casamonica, non si è ben capito se ci si è profondamente indignati perché i parenti hanno voluto spendere una barca di soldi sporchi oppure perché hanno dato tanto sfoggio al rito o ancora perché un funerale di lusso non può essere consentito a un mafioso. Probabilmente, come è stato da più parti ventilato, la ragione è un’altra, tutt’altro però che comprensibile e meno ancora condivisibile: la morte non può essere magnificata fino a tali esternazioni così pagane, ancor più se si tratta di un defunto che abbia molto peccato e che non ha certamente guadagnato il Paradiso. Senonché questa logica non è cattolica ma calvinista, per cui davvero non si capisce dov’è lo scandalo, dal momento che nessun aspetto della liturgia cristiana è stato inosservato. Quanto allo Stato, ha trovato facile condannare il comportamento dei parenti del defunto ma nulla ha fatto perché i Casamonica non raggiungessero illegalmente la posizione di potere che ha poi consentito loro di concedersi tanto lusso per un funerale.
E’ proprio paradossale che chi deplora il lusso sfrenato ed esibito di persone che godono delle libertà costituzionali nei modi che par loro più opportuni siano quelle sfere quali Stato e Chiesa che nelle loro cerimonie, nei protocolli, nei palazzi che fanno da teatro alla magnificenza e allo sfarzo trovano ordinario se non necessario il ricorso alla grandiosità e all’ampollosità più barocche. Il Vaticano è dalla sua fondazione l’esempio più “scandaloso” del lusso e dell’appariscenza, in gradi molto più elevati di quelli ostentati dai pur fastosi imperatori bizantini e dagli sgargianti costumi spagnoli. I funerali di Papa Wojtyla sono stati il più grande show, per giunta mediatico, mai allestito in età moderna, così come altrettanto sontuosi sono puntualmente gli insediamenti dei pontefici, le celebrazioni solenni, le cerimonie istituzionali, i funerali di Stato e tante altre manifestazioni pubbliche come incoronazioni di re e matrimoni regali, che non destano mai alcuna perplessità.
Occorrerebbe dunque congetturare, se mai si riuscisse bene a capire la filosofia che regola certe dinamiche sociali e istituzionali del nostro piccolo e provinciale Paese, che il lusso è consentito agli apparati pubblici mentre ai privati, in senso molto controriformistico e dunque al di fuori della più diffusa coscienza religiosa nazionale, è vietato apparire se si tratta di persone che pur avendo fatto fortuna illecita (e dunque da perseguire: ma in vita) si mostrino o siano mostrate talmente vicine al sentimento religioso da ottemperarne il rito in ogni aspetto allestendo cerimonie degne di un re perché sia Dio a giudicarne la condotta. Se i Casamonica avessero, data la loro ricchezza, immolato mille agnelli al Cielo, come facevano nell’antichità i più facoltosi devoti di Dio in cerca di perdono, nessuna reazione scandalizzata si sarebbe avuta al di là forse di un moto di mera curiosità, né la Chiesa avrebbe potuto parlare di scandalo o di show.
Piuttosto il problema vero è di stabilire, come per le processioni “mafiose”, se la fede cristiana – e non la Chiesa cattolica – condanni l’eccesso di esternazione da parte di chi sia in peccato. Esclusi alcuni esempi (la cacciata dal tempio e l’invito di Gesù a pregare in maniera discreta, episodi piuttosto estranei al caso in questione), la Scritture ci dicono che Cristo intese l’intero suo credo come redenzione non dei buoni ma dei cattivi e lui per primo entrò in Gerusalemme con tutta la pompa che le sue sostanze potevano concedergli.
Tu dici: dov’è lo scandalo? In effetti scandalo non c’è, se la mettiamo sul serio, perché non c’è niente di scandaloso a far accompagnare un parente al cimitero come aveva fatto il principe De Curtis con se stesso, aggiungendoci anche un profluvio di petali lanciati dall’alto. E dici anche: lo stesso Gesù entrò in Gerusalemme accompagnato da palme e folla festante. Solo che Gesù era Gesù e non aveva rubato niente a nessuno, e niente aveva rubato Totò, mentre i Casamonica hanno rubato molto a molti. Era dunque compito dello stato, el cui leggi condannano chi ruba, fare in modo che quella esibizione non ci fosse, perché l’esserci stata significa che si può rubare molto a molti e chi si è visto si è visto. Ma lo stato non c’è, o almeno non c’è stato in quella circostanza, e quindi compito nostro dovrebbe essere di fare in modo che ci sia. Lo facciamo? Qualcuno ci prova. I più ci giocano. Sta qui il vero scandalo.