EDITORIALE da santalessandro.org
Sabato 14 novembre 2020
Giovanni Cominelli
FINE DEL POPULISMO? NO
L’elezione di Biden porrà fine alle ondate populiste, che hanno toccato le spiagge del mondo euro-atlantico liberale, dagli Usa a tutti i Paesi europei? La risposta è no. Perché le cause che l’hanno generato sono ancora tutte lì. La differenza rispetto a Trump é che Biden si propone di spegnere le ondate populiste invece che di farci sopra il surf. Ma per tornare alla bassa marea occorreranno tempi lunghi e buona politica, solo che si pensi alla potenza del terremoto che ha sollevato i mari, cioè alle cause e alla fenomenologia del populismo.
Le analogie con gli anni Trenta del ‘900 sono suggestive, ma fuorvianti. Spesso il loro utilizzo è stato fatto, soprattutto in Italia, per lanciare allarmi su un imminente pericolo autoritario-fascista e per fornire, conseguentemente, traballanti alibi all’alleanza contro natura tra PD e M5S e penose giustificazioni per i gravi cedimenti al populismo sul piano programmatico, a partire dal referendum sulla diminuzione dei parlamentari e dal rinvio patologico dell’approvazione del MES.
La fenomenologia del populismo nostrano si può solo richiamare qui brevemente, ancora una volta.
In primo luogo, si tratta di una contestazione senza appello della classe dirigente politica, accusata di essere una casta corrotta. Dall’intervista di Eugenio Scalfari a Enrico Berlinguer del 28 luglio 1981, passando per la Lega, Di Pietro, Forza Italia, Girotondi, M5S si è sviluppata una narrazione pervasiva ed egemonica lungo i decenni. Il salto di qualità è stato compiuto dal M5S, che dalla critica della Casta è passato alla critica della forma-partito e di lì, molto rapidamente, alla critica delle istituzioni rappresentative tipiche della democrazia liberale. Quest’ultima tappa è stata possibile perché realmente il sistema istituzionale in Italia è, fin dal 1948, fortemente intrecciato con il sistema politico. E quando questo crolla, anche le istituzioni cominciano a ballare… Non così è accaduto in Francia, in Germania, in Gran Bretagna e neppure negli USA, benché Trump stia strattonando, per ora senza risultati, le istituzioni democratiche americane. La critica delle istituzioni liberali ha portato il M5S a proporre di ridimensionare la funzione del Parlamento, donde la riduzione del numero dei parlamentari, la proposta del vincolo di mandato per gli eletti, revocabili a vista, la democrazia on line, e, naturalmente, l’abolizione della forma partito, sostituendo il litigioso centralismo democratico-correntizio dei partiti con il centralismo informatico-carismatico dei movimenti, in realtà altrettanto litigioso e feroce.
Il principio self-democratico dell’ “uno vale uno” ha potenziato ideologicamente il ruolo dell’individuo nella società, sottoproducendo una cultura individualistica radicale, che tende a sconnettere le relazioni all’interno della società civile e che, in forza del self-egotismo assoluto del principio “ io-solo-so” tende a squalificare le competenze accumulate dalla comunità scientifica.
Quella della democrazia diretta è però solo una faccia del Giano populista. L’altra è quella della democrazia delegata ad “un uomo solo”, sempre in forza del centralismo carismatico. Benchè si debba constatare che il carismatismo attuale sia più volatile di quello degli anni ‘30. Anche allora fu decisivo il ruolo dei mass-media, in particolare della Radio. Ma erano pre-orientati dall’Uno ai Molti, i Molti potevano solo ascoltare, non reagire se non nelle piazze, mentre oggi i social-media, diventati in realtà degli individual-media, consentono all’individuo di interagire. L’individuo è diventato self-carismatico. Donde i tempi adhocratici dei leader. I quali, pertanto, non possono permettersi pensieri molto lunghi, debbono correre a raccogliere qui e subito il consenso o, per meglio dire, rincorrerlo furiosamente, prima che cambi oggetto del desiderio.
Il guaio è che questi miliardi di individui oggi sono spaventati.. L’economia scorazza selvaggia per conto proprio sul pianeta, mentre la politica sta chiusa dentro i territori nazionali. Che però non sono tutti grandi eguale. Tra i più grandi, è accesa ormai una guerra fredda, tra la potenza americana in declino convulsivo e la potenza cinese in crescita aggressiva – la Borsa di Shanghai è ormai più influente e più ricca di quella di New York, dopo aver spezzato la democrazia e la Borsa di Hong Kong. La globalizzazione economica ha generato enormi concentrazioni di ricchezza, disuguaglianze sempre più forti, conflitti tra chi sta al centro delle sviluppo delle forze produttive e chi sta alla loro periferia, tra chi sta nelle città e chi sta nelle “campagne”, tra chi cammina veloce e chi sta indietro. Donde gli ingenti movimenti migratori. Diseguglianze di reddito, ma soprattutto di accesso alle opportunità. C’è chi è dentro “il grande gioco” e chi ne è escluso. L’ipercapitalismo globale, di cui scrive Branko Milanovic, sta disgregando le vecchie classi sociali e le loro rappresentanze politiche – destra/sinistra – non conosce regole, se non quella del profitto senza limiti.
Ecco perché l’insorgenza populista non si spegnerà presto.
Il Covid ha confermato che occorre una governance globale, ma che al momento appare irrealistica. Le ridotte nazionali sono apparentemente più realistiche e a portata di mano, ma più accentuano “l’autarchia nazionale” e più l’effetto complessivo è un caos globale. Ora, poiché è difficile controllare l’anarchia dell’economia e della finanza con i soli strumenti nazionali, e poiché, senza l’imbrigliamento degli spiriti animali, la storia umana rischia di andare, ancor una volta in modo sonnambulesco, verso la guerra globale, diventa più urgente che mai la costruzione di assetti di governance multilaterali. E qui torna il ruolo degli Stati nazionali, singoli o associati, che sono i lati decisivi della multilaterale governance globale. Per abbassare la curva dei populismi è urgente rispondere, da parte di ogni Stato, alle due domande fondamentali: quella di una democrazia di individui responsabili e protagonisti e quella socio-economica di un’uguaglianza delle opportunità. Riforme istituzionali e riforme economico-sociali, politiche fiscali e nuove politiche del mercato del lavoro e del Welfare dell’istruzione, della sanità e dell’assistenza sono l’unico antidoto del virus populista. Il principio del “No Child Left Behind” stabilito dal Congresso americano nel 2001 per l’istruzione deve essere riformulato ed esteso come “No Man Left Behind”. Combattere il privilegio e la diseguaglianza per alimentare concretamente il senso di comunità di destino di specie, che è il nucleo ardente della “Fratelli tutti”. Resta che ai singoli individui tocca fare politica qui e subito, con lo sguardo alla propria condizione e allo stato del mondo.