Si sa che ogni tanto il mondo tende a finire. Il millenarismo è così radicato nella psicologia umana che non sappiamo fare a meno del ricorrere ciclico di improbabili profezie, fortunatamente non autoavverantesi. Dall’Apocalisse di Giovanni al calendario Maya, sembra che non ci sia modo di farci arrendere all’evidenza che il mondo è molto più longevo di quanto possiamo credere. L’ansia per una palingenesi esaltante o per una cupio solvendi radicale: dappertutto pesca il chiliasmo. Anche quando non ci sono motivi per evidenziare tali paure ancestrali, l’uomo tende a inventarseli di sana pianta. Al giorno d’oggi si tratta sicuramente del desiderio di profitto di scrittori e sceneggiatori: tanti libri e film abbiamo consumato per capire come il mondo sarebbe dovuto finire il 21/12, altrettanti ne abbiamo comprati per rassicurarci sul perché il mondo sarebbe sopravvissuto. Valenti e abili speculatori – se la battono alla pari – furono anche quegli storici ottocenteschi che proiettarono nel loro fantasioso ‘buio’ medioevo una paura dell’Anno Mille che appare quantomeno improbabile in uomini che nemmeno sapevano di vivere nell’anno Mille. Georges Duby si è molto adoperato per dimostrarlo con dovizia di particolari in varie pubblicazioni impeccabili (consigliamo l’ottimo “L’anno mille”, tradotto da Einaudi), ma a scuola ancora ci insegnano queste amenità, a riprova che la voglia di essere presi in giro supera sempre la ragione. Questa volta noi contemporanei, invece, avevamo quasi iniziato a sperarci sul serio, ma abbiamo dovuto rimandare ancora una volta.
Anche la filosofia, da un po’ di tempo a questa parte, segue le dinamiche psicologiche del millenarismo. La sua fine è stata pronosticata con certezza da molti, e ci siamo addirittura abituati a pensare oltre: essendo già stati celebrati i suoi illusori funerali, ci si iniziò ad occupare della filosofia dopo la filosofia (Rorty), perché è chiaro che questa disciplina non regge più, non sta al passo coi tempi, si è frammentata in molte specializzazioni settoriali, non può competere con il modello di rigore della scienza moderna, eccetera eccetera… Temo che dovremo rimandare anche qui. Magari sarà pure un morto che cammina e noi che continuiamo a crederlo vivo poveri ciechi. Comunque, anche se non è viva, la filosofia, nell’attualità, è sicuramente molto vitale. In Italia, ad esempio, il saggio di Maurizio Ferraris “Manifesto per il nuovo realismo” (Laterza, 2012) ha inaugurato un nuovo paradigma filosofico ed aperto una discussione stimolante che ha coinvolto moltissimi protagonisti del panorama filosofico anche europeo. A rendere omaggio alla già annunciata defunta sono giunte in pellegrinaggio al Festival di Modena, Carpi e Sassuolo quasi 200 mila persone. Intanto, anche nel mondo là fuori in pochi sembrano disposti a farne a meno, a partire dagli Stati Uniti, che sembrano essere diventati la Nuova Atene. Qualcuno giunge ad affermare che «quella americana si staglia come la cultura più filosofica nella storia del mondo, un mercato della verità e dell’argomentazione senza precedenti, sorpassa qualsiasi altro posto nell’arco degli ultimi tremila anni» (http://www.ilsole24ore.com/art/cultura/2012-08-27/grande-filosofia-mondo-104822.shtml?uuid=AbiH1GUG). Il Giappone, mentre già se ne paventava la fine, nel XX Secolo, iniziava proprio allora a confrontarsi con la filosofia, di cui diventava ben presto protagonista importante con la Scuola di Kyoto (vedi J. Heising, “Filosofi del nulla”, ed. L’Epos), tuttora centro di elaborazione molto interessante. Anche le ‘potenze emergenti’ investono nelle strutture universitarie per lo studio della disciplina, come in Brasile, mentre sul versante del continente Oceania troviamo già una tradizione analitica, in Australia, che è impossibile ignorare. Insomma, di segnali preoccupanti ne intravediamo pochi. Possiamo continuare a disperare, ma purtroppo o per fortuna sia il mondo che le idee continuano a girare…
Jacopo Francesco Falà
Ma che sarebbe il mondo senza filosofia?