L'ASINO DI BURIDANO

Massimo Parodi

Professore di Storia della filosofia medievale all'Università Statale di Milano.

Evian

Era un momento quasi liturgico dei pomeriggi di Natale, quando si rimane seduti a tavola, ormai pieni, giocando con le briciole sulla tovaglia e facendo discorsi demenziali. A un certo punto il mugugno contro le cose del mondo sfociava inevitabilmente nel ma se fossimo noi al governo …; eravamo ormai alla crisi delle ideologie e non contavano nulla le ipotetiche scelte politiche, contava solo la pretesa competenza. Tradizionalmente eravamo un geometra, un medico e un docente di filosofia e dunque il nostro governo – già allora evidentemente votato a un virtuoso risparmio – si limitava a tre ministeri: lavori pubblici, sanità e pubblica istruzione. Se fossimo noi al governo …; per fortuna credevo ancora nella politica e nei programmi e dunque sapevo la risposta e la davo ogni volta: se fossimo noi al governo, porteremmo tutto alla rovina. Ma l’anno successivo, il problema si riproponeva perché, come in tutte le celebrazioni liturgiche, tutto doveva rimanere identico.
Mi sono tornate in mente quelle stanche e noiose briciole natalizie in questi giorni in cui le drammatiche immagini di stazioni e frontiere stipate di migranti sembrano interrogare milioni di ministri degli interni. Nel bar sottocasa tutti hanno la loro ricetta presentata come ovvia, incontestabile, e che molto spesso prevede l’uso delle armi. Ma ancora di più colpiscono le innumerevoli telefonate degli ascoltatori ai programmi radiofonici, sempre più simili alle case di ringhiera dove tutti si affacciano per dire la loro.
Quando la signora che mi porge le sigarette dice che non si può più andare avanti così, sorrido e al massimo riesco a bofonchiare che la questione è molto complessa, ma ora voglio approfittare di questo spazio per dire con chiarezza quale sia la mia personale opinione su quanto si dovrebbe fare: non ne ho la più pallida idea. Sarà l’abitudine ai social network, ai talk shaw, agli interventi radiofonici, ma sembra che tutti si sentano in dovere di avere una opinione su tutto, e invece è così bello e forse giusto non avere opinioni su qualcosa e su cosa si dovrebbe fare in questi giorni di sofferenza non ho proprio alcuna idea.
Mi ha colpito molto tuttavia una analogia storica proposta, tra gli altri, da Enrico Deaglio sul Venerdì di Repubblica del 22 maggio, e ancora non si parlava in continuazione di quote, come in questi giorni. Forse non serve a nulla, forse non si tratta neppure di una analogia seria, ma è un po’ inquietante ricordare che, dopo tre anni dalle leggi razziali naziste, nel luglio 1938 fu convocata, su iniziativa del presidente Roosevelt, la conferenza internazionale di Evian per discutere come e in quali quantità si potessero accogliere da parte dei diversi stati alcuni degli ebrei privati dei diritti civili in Germania, Austria e Cecoslovacchia. Si racconta che uno degli uomini di governo presenti a Evian avrebbe detto: Non avendo problemi razziali, non desideriamo certo importarli e l’unico Stato dichiaratosi disponibile ad accogliere centomila ebrei migranti fu la minuscola Repubblica Dominicana governata dal poco raccomandabile dittatore Trujillo.
I tempi erano diversi, i problemi erano diversi, i numeri erano diversi, probabilmente l’analogia non funziona, ma che brutte sensazioni. Non credo riuscirò mai a raccontare questa cosa alla tabaccaia sotto casa.

  1. … quando non si ha una pallida idea di quello che si può ragionevolmente fare, nei limiti del possibile, del reale, delle cose realizzabili, si permette a chi ha idee chiare e distinte potere, denaro e un progetto, di agire.
    Allora a me sembra che sono infinite le cose che si possono e si debbono fare, ma chi non ha tempo potrebbe semplicemente dire, come Eugenio Montale, ciò che non siamo, ciò che non vogliamo, sarebbe già molto!

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