E’ stato presentato nei giorni scorsi alla Federazione Nazionale della Stampa Italiana un saggio che starebbe bene tra i testi scolastici: “Genocidio in Libia. Le atrocità nascoste dell’avventura coloniale italiana.” Lo ha scritto Eric Salerno, che si è occupato di Libia da molti decenni. Questo libro è forse un compendio di tanti libri. Innanzitutto ripresenta “Genocidio in Libia” nella sua prima edizione, quella del 1979 per i tipi di SugarCo poi sparita e quindi ristampato nel 2005 da Manifestolibri nel 2005 perché, come scrisse l’autore al tempo “nel silenzio della maggioranza si stavano facendo avanti voci a difesa della politica coloniale che la storia aveva condannato.” Davvero? Forse sì, mi sono sempre occupato poco di Libia, oggi devo dire che questa parte del lavoro di Eric Salerno, che ebbe risalto mondiale negli anni ‘80, è meritevole e opportuna come testo scolastico perché mi sembra poco diffusa la notizia che ci sia stata un’avventura coloniale italiana. I campi di concentramento in Libia? Li faranno quegli animali, noi che c’entriamo? Non so se Salerno condivida questa mia impressione sulla rimozione dalla coscienza collettiva della nozione stessa di un passato coloniale e colonialista italiano, rimozione che lui ha contestato con un altro libro uscito negli anni passati, “Uccideteli tutti. Libia 1943: gli ebrei nel campo di concentramento fascista di Giado. Una storia italiana.” Vuoi vedere che il colonialismo italiano oltre che colonialista e feroce è stato anche antisemita?
Ma siccome l’oggi incalza, Salerno ha pensato alla terza ristampa di “Genocidio in Libia” sempre per Manifestolibri aggiornando il suo lavoro, e quindi occupandosi anche di eventi più recenti, come il trattato d’amicizia firmato da Berlusconi nel 2008 e che avrebbe dovuto chiudere non solo con i soldi ma anche con l’istruzione una pagina grave e i fatti di cui tutti parliamo oggi, i campi dell’oggi e il nuovo “memorandum” italo-libico. Ma qui da giornalista sempre documentato Salerno avverte che non entra nel racconto degli avvenimenti, con onestà e coraggio -per un giornalista- lascia ad altri l’impresa, e si limita alle carte.
E’ molto importante l’incipit del volume del 79 ristampato nel 2005 e oggi opportunamente riproposto, quello in cui l’autore ci svela di aver scoperto con sorpresa un nome ascoltando il leader libico Gheddafi. Questo nome è El Agheila. “El Agheila era il nome di un villaggio e poi di un campo di concentramento. Non era né Buchenwald né Auschwitz, non era la risaia di Trieste, perché i suoi scopi erano anche diversi. Ma vi perirono ugualmente migliaia di libici. Morti di stenti, fucilati per le infrazioni più banali ai regolamenti italiani, uccisi dalle malattie che colpivano l’anomalo concentramento forzato di nomadi. Altri erano morti prima nello spostamento delle popolazioni da una parte all’altra dell’immenso paese, nei bombardamenti compiuti con sistematica precisione da un’aviazione che con l’uso dei gas proibiti dalle convenzioni internazionali si stava preparando per affrontare la grande guerra di conquista dell’Etipia.”
Poco dopo Salerno ci informa che quando il governo rivoluzionario libico chiese il risarcimento dei danni provocati dal fascismo, dalla Farnesina “partì una confutazione preparata con cura da «esperti», alcuni dei quali ex funzionari dell’amministrazione coloniale, per dimostrare che gli impiccati erano un po’ meno di quello che sosteneva la Libia, che le fucilazioni senza processo dei ribelli erano normali atti di guerra, che i bombardamenti della popolazione civile erano stati spiacevoli episodi, e che i campi di concentramento, El Agheila come gli altri, erano solo luoghi di raccolta dove uomini, donne e bambini che avevano garantita un’alimentazione controllata, assistenza sanitaria moderna e, in molti casi, scuole persino più moderne ed efficienti di quelle che ci sono in LIbia.” Leggendo in queste ore si ha l’impressione che, ammorbidendo un po’ i toni, la nostra diplomazia già al tempo avesse sentito e immagazzinato quanto afferma Bashar al Assad in una recente intervista. O abbiamo fatto scuola noi? Non proprio. I tiranni del Mediterraneo non hanno mai dimostrato lo scrupolo che ha scoperto alla Farnesina Eric Salerno: distruggere i documenti, le prove. Infatti Salerno scrive: “Molti documenti oggi mancano dagli archivi (della Farnesina). Alcuni probabilmente furono distrutti dagli interessati, desiderosi di mettere un masso sopra il passato, altri furono portati via dalla Repubblica di Salò e non tornarono mai a Roma, altri ancora sono risultati per anni “furono posto” e, dunque la loro consultazione è risultata a lungo impossibile.” Ma la storia offriva a quel tempo, un ma: “Per qualche anno ancora c’è un’altra documentazione: quella fornita dagli anziani combattenti e dagli ex prigionieri dei campi di concentramento. Qualcuno ricorda ancora, anche se la sua memoria è annebbiata e il concetto di tempo confuso e approssimativo come sempre tra i nomadi privi dei punti di riferimento stagionali dei raccolti attraverso i quali costruire e ricostruire la cronologia del proprio passato.” Parleranno mai? Hanno parlato. Ha parlato con loro proprio lui, Eric Salerno. “ Con molti a Misurata, a Ben Jurado, a el Agheila, a Sirte sulla costa del Mediterraneo e nel Fezzan a Sebba, a Ubari a Brach, ho potuto parlare. E registrare i loro racconti.” I loro racconti “danno una dimensione umana a quelle che sarebbero altrimenti le aride cifre di una contestazione storica.
Se questo è il valore centrale e mondiale di questo volume, il valore scolastico, l’acquisirlo come testo scolastico come io propongo, lo possiamo dedurre leggendo le cronache dell’oggi. Sulla Libia, ma non solo sulla Libia. Su che cosa? Ma sulla nostra consapevolezza e sulla nostra nuova identità, direi soprattutto. Perché commuove che Eric Salerno sottolinei prima di raccontare i racconti che ha registrato che da quelle interviste “un dato importante emerge: la consapevolezza della differenza fondamentale tra il regime coloniale fascista e l’Italia.” Questa consapevolezza, se noi non andremo a raccogliere altre voci, le voci delle vittime di tante guerre delle quali parlano solo i tiranni, noi non l’avremo mai sui tanti conflitti che ci circondano. I nostri criteri di giudizio rimarranno confusi, come la percezione del tempo dei nomadi che interloquiscono con noi, grazie a Salerno, in questo libro. Confondendo vittima e carnefice non capiremo il mondo dove viviamo e non capiremo noi stessi. Penseremo di essere “i buoni” stringendo la mano dei “cattivi”. Non è carino…
Questo punto è emerso drammatico e cruciale nella discussione che è stata animata da Emanuele Giordania in occasione della presentazione di questo grande volume. Con lui c’erano Francesca Mannocchi, che racconta la guerra libica con cronache puntualissime e interviste sconvolgenti, Nino Sergi, fondatore di Intersos, l’editore e l’autore del volume. E a loro Emanuele Giordana ha saputo chiedere, dopo gli interventi di apertura che hanno toccato tutti i risvolti del caso libico: “ le guerre non risolvono mai i problemi, ma come faremo ad essere al fianco delle vittime dei regimi sanguinari invece che di essi stessi?” E’ il vero dramma dell’oggi, che questo libro ci aiuta a cogliere con una profondità lucidissima e una documentazione unica al mondo. Le vittime non furono i colonialisti, ma i nomadi dalla cognizione scricchiolante del tempo. Dimenticare la realtà del colonialismo non cambierà la storia, cambierà il nostro rapporto con l’Altro, che a differenza di noi sa la differenza tra l’Italia e il regime coloniale fascista. Per questo è stata molto opportuna anche la provocazione di Nino Sergi: ci indigniamo per il protocollo della vergogna italo-libico. Ma se rifiutiamo di rinegoziarlo, preferiamo lavarcene le mani dicendo che va cancellato e basta, per le vittime sarà un passo avanti?
Ottimo lavoro per conoscere un passato non visibile nella storia italiana malcelato e sempre affrontato in maniera superficiale