COSE DELL'ALTRO MONDO

Riccardo Cristiano

Giornalista e scrittore

Erdogan ora minaccia anche il patriarca Bartolomeo, e Giovanni Paolo II

C’è un anno della storia della Turchia contemporanea che in questi giorni è bene ricordare: è il 1955, l’anno dei pogrom contro la minoranza greco ortodossa. Intrappolata nella crisi greco-turca sull’isola di Cipro, la popolazione cristiana di rito ortodosso, che stranamente in un Paese laico veniva definita “minoranza”, si trovò a settembre di quell’anno al centro di un vero e proprio pogrom, scatenato da una campagna di stampa che culminò nella divulgazione di una falsa notizia: i greci, si disse, avevano assalito e distrutto la casa Natale di Mustafa Kemal, detto Ataturk, a Salonicco. In breve tempo dei compiacenti autobus trasportano migliaia di persone armate di mazze e catene nel quartiero dei greci, attaccando tutto e tutti. Dalle chiese alle sinagoghe, dai negozi alle taverne, i simboli e i beni delle “minoranze” andarono in pezzi, molti furono feriti, altri uccisi. Gli storici si sarebbero poi incaricati di svelare, dopo il golpe del 1960, la responsabilità dell’intelligence in quelli che di solito sono chiamati gli “eventi di settembre”. L’attualità presidente turco, Erdogan, conosce bene quei fatti e li ha anche ben capiti, tempo addietro, visto che esprimendosi al riguardo parlò di “responsabilità”  e di “fascismo”. Il presidente però potrebbe essersi dimenticato del suo giudizio, non credo dei fatti a cui si riferiva, oppure potrebbe aver cambiato idea. Dimenticanza o cambiamento però potrebbero fare poca differenza, in Turchia infatti è lecito temere che il settembre 1955 possa essere non un triste ricordo ma un incubo alle porte. 

Da quando in Turchia ci fu il tentato golpe contro di lui, Erdogan è sempre più avviluppato in una politica tanto diversa da quella che contraddistinse il suo AKP all’inizio del millennio quanto simile a quella dei suoi precedenti avversari, i generali. Solo, sempre più intriso di nazionalismo, di un nazionalismo esasperato, Erdogan perseguita tutti i suoi avversari con la stessa scusa: complici dell’uomo che a suo avviso ordì il golpe; quel ricchissimo predicatore che vive negli Stati Uniti e che con lui  aveva gestito il miracolo di quegli anni, Fetullah Gulen. Gulenista così è diventato un vocabolo che se pronunciato annuncia detenzione, purga, privazione di ogni diritto. Lo sanno bene tantissimi turchi, purgati in numeri e forme che vanno al di là del verosimile da Erdogan. 

Ora accada che l’accusa di gulenismo venga riservata a Papa Giovanni Paolo II, al patriarca di Costantinopoli Bartolomeo, al rabbino di Istanbul, all’ex patriarca ameno ed a importanti politici che per loro fortuna non vivono in Turchia, come Hillary Clinton. 

L’accusa non è arrivata da Erdogan, ma fa ricordare l’atmosfera del 1955 il fatto che venga dalla stampa, e in questo caso davvero stampa di regime. E’ stato infatti il periodico Gerçek Hayat che fa parte della ricca scuderia filo governativa di Yeni Safiak, controllata da un parente del presidente turco, a proferirla, in un numero particolarmente ricco di pagine e soprattutto di fotografie, comprese quelle di tutti i leader citati. 

Con linguaggio molto pesato, opportuno, il patriarcato ha sottolineato che l’accusa, infondata, crea inquietudine e disagio tra ebrei, cristiani e musulmani in quanto “mina l’unità del nostro popolo”. 

Il problema che al patriarcato sembrano aver colto è che la differenza con il ‘55 sta nella causa scatenante della possibile crisi dalle forme non prevedibili. Che non sta in una crisi internazionale che coinvolge la Turchia, ma in una crisi interna, una crisi sociale alla quale probabilmente  Erdogan pensa di dare la stessa risposta di sempre: uniti contro il complotto. Così un attacco contro una chiesa verificatosi in queste ore non può passare assolutamente sotto silenzio. 

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