Apprendo da un articolo di Jonathan Rée sul numero di luglio di “Prospect” che la casa editrice Verso ha appena pubblicato The Adventure of French Philosophy di Alain Badiou. E’ una sorta di “companion” sulla fortuna della filosofia francese del dopoguerra, da Sartre ad oggi per intenderci (Merleau Ponty, Derrida, Foucault…). Al periodo della French Theory è possibile che segua oggi un periodo di successo e riconoscimenti per l’Italian Theory? Ad augurarselo, e anche a vederne i primi segni premonitori, che sicuramente ci sono, è Roberto Esposito, autore l’anno scorso di un affascinante e raffinato libro sul pensiero italiano dal Rinascimento ad oggi (Pensiero vivente, Einaudi). Ed anche io me lo auguro sinceramente, e per forti motivi teoretici: per tutta una serie di motivi che risulteranno sempre più chiari (almeno me lo auguro) man mano che posterò nuove note su questo blog.
La tradizione filosofica italiana è, detto in modo tranchant, insieme alla filosofia classica tedesca (da Kant a Hegel e Marx), un punto di riferimento imprescindibile per uscire dalle secche dei postmodernismi da una parte e dei positivismi più o meno astratti dall’altra, cioè del relativismo e dello scientismo. E lo è proprio per la sua idea di una razionalità concreta e non astratta. E per i suoi rapporti spuri con la politica e con la storia, con quel sostrato vitale e persino biologico che tanto sta a cuore all’amico Esposito. Ciò che mi distacca un po’ dal discorso dell’eminente filosofo napoletano è però il giudizio complessivo, per me negativo, sulla filosofia italiana del dopoguerra.
Essa, a mio avviso, si è proprio distaccata da quella nobile tradizione di realismo politico e storicistico, di idealismo speculativo e dialettico, che aveva contraddistinto le fasi precedenti della sua storia. Tendendo, fra l’altro, a definire “provinciale” e “retrogrado” un pensiero, quello italiano precedente, che era esattamente il contrario. E lo ha fatto, in maniera più o meno esplicita e consapevole, per motivi di egemonia politico-culturale e per una pregiudiziale torsione anticapitalistica e antisistema data alle proprie idee (su questo punto ha ragione Ernesto Galli della Loggia). In definitiva, quindi: impegniamoci affinché l’interesse per l’Italian theory si consolidi, e perché la filosofia riprenda il filo di tanti discorsi speculativamente forti malamente interrotti, ma facciamolo con la consapevolezza che il parallelo cronologico fra French Theory e Italian Theory non regge.
Non mi ritengo un filosofo, ma un uomo (con un po’) di cultura che legge, anche di filosofia. Condivido l’analisi e l’augurio di Corrado Ocone sulla sperabile riscoperta di un’ “italian way of philosophy”. In parte credo che siamo stati anche prede di tendenze irrazionalistiche, che hanno fatto premio – basti guardare al populismo che da noi è stato ed è sempre serpeggiante in politica, sotto varie incarnazioni – sulla dimensione di concretezza di riflessione razionale, che lui vede come linea positiva di continuità nella filosofia italiana. A ciò aggiungo la pessima condizione della scuola, che ha prodotto a cascata la pessima e decaduta università attuale (per tante responsabilità concorrenti, non certo di una sola parte, che risalgono a molti anni e a differenti correnti di pensiero), il che ha contribuito ad abbassare la soglia di pensiero critico diffuso contro i conformismi delle diverse mode intellettuali che di momento in momento si prosucevano, come seducenti sirene. Resistono peraltro ancora sedi, scuole e persone di pensiero raffinato e non provinciale, speriamo in loro
Caro Salvatore, sei modesto: poca cultura non direi proprio. E sei un maestro. Di cultura appunto, ma anche di impegno civico nella “nostra” martoriata Napoli. Spero di vederti qualche volta. Grazie per le precise puntualizzazioni, Corrado
Caro Corrado non posso che essere d’accordo con te.
Se il giudizio negativo di Bobbio sulla filosofia italiana del novecento, che considerava un alieno chi parlasse ancora con reverenza dell’idealismo italiano, definendolo nella sua versione gentiliana un mero “bisticcio di parole” poteva essere giustificato dalle circostanze storiche, bisogna prendere oggi atto del tempo che è passato. Per fortuna sempre più spesso mi capita di incontrare giuristi – più rari i filosofi – che tentano di recuperare il buono di quegli autori, gettando via solo l’acqua sporca.
Caro Andrea, hai perfettamente ragione. Ho molto apprezzato il tuo intervento, tanto che ho deciso di dedicare due o tre prossimi post del blog al “caso Gentile”. Quanto a Bobbio, se regge la periodizzazione che proposto nel saggio che ho fatto per “Lo sguardo”, si può dire che l’ “ultimo Bobbio” ha cambiato idea anche sul filosofo di Castelvetrano