Dunque è arrivato anche da noi l’Huffington Post con il suo modello fondato (anche) su blog gratuiti. Nei giorni scorsi si è scritto molto in rete (forse pure troppo, e forse senza affrontare il tema vero, il valore editoriale del nuovo sito) per discutere la legittimità di un business che si fonda (anche) su contenuti prodotti da utenti (ma vai a vedere il tipo di utenti: non pagare Tremonti vale lo stesso che non pagare l’attivista del centro sociale?).
Chi liberamente – per ragioni varie – sceglie di far parte di un’industria che comunque è orientata al profitto (anche i giornali lo sono) è biasimabile?
Ci si può dividere. Per ora tuttavia non mi pare che i contenuti dei blogger dell’HuffPo Italia aggiungano qualcosa al valore della testata, indipendentemente dall’essere pagati o meno, ma tant’è.
Quel che mi interessa è il riflesso con cui si critica la scelta di lavorare (poi andrebbe discusso se quello è lavorare o meno, ma è discorso che ci porterebbe alle soglie dell’economia dell’immateriale e non so se me la sento) scrivendo un blog.
Che percezione abbiamo dello spazio che WordPress o chi per lui ci offre per scrivere e pubblicare quel che ci pare?
Come giudicheremmo se oltre ai blogger non pagati HuffPo avesse anche dei twittatori non retribuiti che svolgessero un lavoro nei social network? In fondo non è molto diverso, trattasi di piattaforma l’una e l’altra. Non sarà che i blog generano clic e i twit molti meno e servono anche ad altro? E perché ci sembrerebbe (almeno così mi pare) molto più riprovevole che con l’Annunziata ci fossero anche social manager a gratis? Lo sembrerebbe?