“E’ liberale il liberismo?”. Una polemica non fittizia e la fine interpretazione datane da Carlo Antoni
“E’ liberale il liberismo?” era l’efficace titolo di una tavola rotonda organizzata ieri sera alla Treccani dalla rivista “Paradoxa”. Ognuno dei partecipanti ha ovviamente detto la sua, con più o meno senno o finezza intellettuale. Ma questo non importa. In questa sede vorrei invece fermarmi su un punto che un po’ tutti hanno sottolineato: la distinzione terminologica fra liberalismo e liberismo è tipicamente italiana. Verrebbe voglia di dire: “Embè?”. I termini si giudicano per il loro valore euristico, per l’aderenza concettuale a qualcosa di reale, non per la loro nazionalità. E il fatto che sul tema ci si accapigli da quasi un secolo qualcosa dovrebbe pur significare! Affermare invece come ha fatto un relatore che gli intellettuali italiani abbiano coniato il termine liberismo per darsi la possibilità opportunistica di stare un po’ di qua e un po’ di là, è un modo molto provinciale di autodenigrarsi (uno sport nazionale che fa esso sì del nostro un Paese non “normale”). Riportare poi, come ha fatto il moderatore, pur senza aderirvi, l’affermazione che un termine che non trova un corrispettivo nella lingua inglese è un termine poco chiaro significa riferire un’affermazione molto stupida di xenofobia linguistica (che fa il paio con quella di Heidegger per cui non si può non pensare che in tedesco). Accettando invece la distinzione, come credo sia giusto, il problema concreto dei rapporti fra liberalismo etico-politico e liberalismo economico o liberismo resta immutato e impegna ancora, come pure è stato ieri sera ampiamente dimostrato, menti riflessive in Italia e fuori. Io, nel mio piccolo, studiandolo da molto tempo, mi sono fatto un’idea: colui che della discussione pluriennale fra Einaudi e Croce ha dato la migliore sintesi, e anche un giudizio assennato, è stato Carlo Antoni. Lo ha fatto in un capitolo del suo Commento a Croce (1955) che puntualmente ho inserito nell’antologia del liberalismo italiano che curai qualche anno fa (2006) per Laterza con Nadia Urbinati (La libertà e i suoi limiti. Antologia del pensiero liberale da Filangieri a Bobbio: http://www.laterza.it/index.php?option=com_laterza&Itemid=97&task=schedalibro&isbn=9788842075172) Due erano le mosse interpretative e teoriche teoriche di Antoni: la prima tendeva a limitare le divergenze fra i due padri del liberalismo italiano; la seconda era una presa di posizione pro Einaudi e non per Croce, che pure era stato il suo maestro e l’ispiratore di tutto il suo pensiero (nulla di scandaloso: il filosofo napoletano aveva teorizzato l’ infedeltà del pensiero e sollecitato la nascita di “discepoli non inerti”). Nel primo caso, Antoni osservava che il liberalismo di Croce, in quanto “metapolitico”, era un liberalismo etico; così come parimenti lo era quello che efficacemente definiva il “metaliberismo” di Einaudi. E che il liberismo einaudiano fosse una concezione morale della vita basterebbe a dimostrarlo questa bella sintesi di Antoni: “nel metodo liberistico”, scrive il nostro, Einaudi “vedeva la moralità della libera intrapresa, della responsabilità e del rischio, mentre nell’intervento diretto dello Stato avvertiva il pericolo dell’arbitrio, del predominio dei politicanti ed il vantaggio degli inetti e degli infingardi”. Ma un passo avanti teorico al discorso Antoni lo fa fare quando parla di quella che giudica un’incomprensione crociana, definendo il rapporto fra i due concetti come rapporto fra parte e tutto: il liberismo non è altro che il liberalismo visto sotto la specie di un particolare ambito di attività umana, quella economica. E’ un discorso che mi ha sempre convinto, ma che oggi vedo in un’ottica più radicale. Ne parlerò nel prossimo post.