E’ liberale il liberismo? Per favore: non chiamate in causa Croce
E’ liberale il liberismo? E’ questo il titolo di un dibattito organizzato oggi dalla rivista “Paradoxa” all’Enciclopedia Treccani. Lo spunto della discussione è dato dal fascicolo della rivista intitolato “Liberali, davvero!”, uscito ormai da qualche mese a cura di Gianfranco Pasquino. Sicuramente qualcuno dei relatori, e forse lo stesso Pasquino, ne approfitterà per dire che il liberismo è cosa ben diversa dal liberalismo. Ed è, in fin dei conti, la causa delle disgrazie in cui versiamo, della “crisi” che avvolge le nostre economie. E giù a sputare sentenze contro i fantomatici mercati, le banche che ci dominano, la politica esautorata e messa sotto vincolo… Trattandosi poi di illustri studiosi si citerà probabilmente, come già nella rivista, Benedetto Croce con favore: si ricorderà la sua polemica pluriennale con Luigi Einaudi e il suo tenere sempre ferma la barra sul punto che una cosa è l’etico liberalismo e altra, distinta e inferiore, l’economico liberismo. Ora, il fatto che Croce continui ad essere giudicato con sufficienza e ostracizzato a sinistra in moltissimi e svariati casi, ma non su questo punto, dovrebbe metterci in guardia. E dovrebbe soprattutto stimolarci a capire come stanno veramente le cose e cosa sia veramente in causa in queste discussioni. Chiarito ciò, forse sarà possibile rispondere con più avvedutezza e rigore alla domanda stessa del convegno.
Bene, per prima cosa bisogna dire che quella di Croce è una filosofia storicistica, anzi di “storicismo assoluto” come la definisce ne La storia come pensiero e come azione. Aggiungendo che, con tale espressione, egli intende una concezione del mondo per cui “la realtà è storia e niente altro che storia”. Risulta pertanto evidente, da questa impostazione, che il filosofo napoletano non può non aborrire ogni concezione fissistica, ogni idea o concetto che si ponga come “naturale”, definitivo, sempre e comunque valido, semplicemente vero. Non è che egli non creda alla verità, ma per lui essa si fa nella storia, cioè va ritrovata in ogni contingenza particolare, nella situazione specifica. Ed essa è proprio per questo sempre diversamente atteggiata quanto al contenuto. Ora, se così è, egli può accettare solo una concezione formale della libertà. Da un punto di vista rigoroso, filosofico, non si può mai dire, “la libertà è…”. Sarebbe come scoprire, svelare, una verità definitiva che poi basterebbe semplicemente “applicare” alla realtà più o meno recalcitrante. Il che significherebbe, a ben vedere, negare o contraddire la stessa libertà. Croce aborriva gli schematismi, le “ricette” anche economiche sempre valide e pronte per l’uso, le “chiavi di volta” che vanno solamente usate per risolvere d’incanto i nostri problemi. Sarcasticamente, per sottolineare questo aspetto, definiva alcuni opinionisti del suo tempo (e possiamo dire non solo) “commessi viaggiatori del liberismo”. Egli, restando perciò sul terreno della filosofia, non se la sentiva di affermare che “la libertà è il mercato” oppure “l’ordine spontaneo”, o anche “la proprietà privata dei mezzi di produzione”. Sempre e comunque. Ma ugualmente, va sottolineato con forza, egli non avrebbe potuto dire nemmeno il contrario. Giusto per fare un esempio, egli non avrebbe mai potuto dire con il suo maestro Hegel che la libertà è nello Stato. E nemmeno in una qualsiasi altra entità sovrapersonale. Per lui il discorso rimaneva, e non è detto a
ragione, a questo livello, filosofico. E qui dovrebbe restare anche per noi, se non fosse che il sentimento anticapitalista e antiliberista è radicato nel nostro essere e viene poi sempre forte fuori nei momenti di crisi come quello che viviamo. Ed è a questo punto che, in maniera consapevole o no, si crea in molte anime belle o semplicemente ipocrite un cortocircuito intellettuale. Perché se è vero che la funzione etico-politica liberale non ammette presupposti di nessun tipo, tanto meno economici, e che bisogna ragionare sui fatti e vedere qual è la soluzione economica adatti ai problemi specifici, la filosofia, e quindi nemmeno quella di Croce, può dirci molto sui contenuti concreti che vanno adottati. Ed è proprio questa aderenza all’ hic et nunc a cui la filosofia ci richiama che non dovrebbe farci avere troppi dubbi sul fatto che i problemi dell’Italia si risolvono oggi con una forte iniezione, ovviamente non ottusa e astratta, di liberismo. Se si pensa il contrario, lo si faccia pure e lo si argomenti. Ma non si chiami a suggello delle proprie idee l’autorità di Croce. Il quale, così come ha detto che il liberalismo filosofico non si lega di necessità al liberismo, con altrettanta forza e convinzione avrebbe potuto dire che non si lega allo statalismo o a qualsiasi forma di dirigismo.
Mai ho sentito parole più efficaci per respingere la strumentalizzazione del pensiero di Croce. <>. La sua polemica con Einaudi non era affatto sulla ricetta economica che, secondo certa vulgata, Croce avrebbe voluto statalista ed Einaudi legata al libero mercato. Erano entrambi liberali autentici, per nulla statalisti o dirigisti. Bellissimo, e chiarissimo, anche il passaggio verso la fine dell’intervento <>
Grazie davvero. Contento della concordanza di pensiero
Concordo totalmente. Il liberalismo che si lega ai dogmi diventa l’antitesi di se stesso. Un vero liberale non può pensare che meno Stato, o anche più Stato, sia sempre e comunque valido. In ambito economico non può pensare che vi sia una ricetta sempre e comunque valida, in ogni luogo e in ogni tempo, come fanno i neoliberisti, che, a mio parere, vanno ascritti alla categoria politico filosofica del conservatorismo, e non de liberalismo.
Grazie. Io Hayek, il primo dei neoliberisti, lo definirei, in senso tecniico, reazionario non conservative. la sua è, avalutativamente parlando, una re-azione: una riproposizione in pieno Novecento del liberalismo delle origini. Un liberalismo proprietario. Non solo nel senso della proprietà privata, ma in quello più radicale, filosofico, per cui esiste un individuo (astratto, ab-solutus dalle relazioni che lo costituiscono in quanto individuo) a cui in una seconda fase gli si possono attribuire o no delle proprietà. Proprietà di tipo liberale, o contrario.