Quello sulla difesa può essere il dossier in grado di dimostrare che l’Europa“può viaggiare, senza gli inglesi, più velocemente verso l’integrazione”. La politica di sicurezza comune – tornata al centro dell’agenda al primo vertice dell’Unione senza il Regno Unito -è, del resto, uno dei traguardi che ha accompagnato, sin dall’inizio, il progetto europeo.
Ma a quale tipo di guerra dovrebbero prepararsi Paesi che hanno assoluto bisogno della pace? Di quali capacità di difesa abbiamo bisogno mentre gli Stati Uniti – alla vigilia delle elezioni di martedì prossimo – dichiarano alla Russia una guerra tra sistemi informativi e l’Unione continua a pagare i costi più alti di conflitti che sono completamente fuori dal suo controllo?
Nell’ultimo dibattito televisivo prima delle elezioni del 2012, il candidato repubblicano Romney contestò ad Obama che gli Stati Uniti possono oggi contare su meno navi e cacciabombardieri che nella seconda guerra mondiale. Il Presidente americano, segnando quello che fu il punto decisivo della campagna elettorale,rispose che l’esercito americano ha, oggi,anche meno “cavalli e baionette” di quanti ne potesse schierare durante la guerra di secessione. Anche se ciò non ha impedito agli Stati Uniti di raggiungere un vantaggio rispetto a qualsiasi altro Stato mai così ampio nella storia. Il paradosso si spiega considerando che la difesa di un Paese va costantemente riorganizzata tenendo conto di due fattori: i progressi della ricerca che consente di avere eserciti più piccoli e molto più efficienti; la tipologia delle minacce da fronteggiare che negli ultimi vent’anni sono state trasformate radicalmente da nemici che prima non c’erano.
In realtà, nuovi problemi e risposte nuove sono unite dalla stessa discontinuità: la tecnologia che è nata alla fine degli anni sessanta proprio dai laboratori del Pentagono e che trasformata in strumento a disposizione di tutti, sta, da vent’anni, facendo da incubatore ai nostri peggiori incubi.
È Internet che ha ridotto, come successe con l’invenzione della stampa nel cinquecento, di diversi ordini di grandezza il costo di accesso ed elaborazione delle informazioni. Che sta ridistribuendo il potere che all’informazione è – per definizione – legato; che sta modificando gli equilibri tra chi attacca e chi si difende. È la Rete che rende la civiltà occidentale del secolo cominciato con l’attacco alle Torri Gemelle più potente e, contemporaneamente, più vulnerabile di tutte quelle che l’hanno preceduta.
Rispetto a questa mutazione gli americani hanno il vantaggio di averla inventata; nonché di essere proprietari di tutte le piattaforme(tranne quelle cinesi) sulle quali le informazioni viaggiano. Lo svantaggio è quello di essere diventati il bersaglio più grosso in un conflitto permanente nel quale i nemici si moltiplicano e diventa più costoso difendersi. Internet cambia tutto ma l’Europa ne sembra pateticamente inconsapevole.
La trasformazione riguarda la competizione tra Stati; lo scontro tra questi e le multinazionali del terrore; l’accesso agli strumenti di distruzione e di difesa nuovi; la possibilità di mantenere la pace e proteggere i civili.
È grazie a tecniche di monitoraggio diffuse che l’intera struttura logistica (basi, navi) della NATO diventa vulnerabile a attacchi preventivi da parte della Cina o della Russia; e, dunque, da ridimensionare (come suggerisce un rapporto del think tank Rand al Pentagono). Ma sono le stesse tecnologie (Anti Access and Area Denial) che, già oggi, rendono, in teoria, possibile agli americani imporre una zona di “non volo” su Aleppo e fermare la carneficina.
Senza la rete non sarebbero neppure concepibili organizzazioni terroristiche globali. Ma è attraverso un network di computer, sensori e satelliti che è, oggi, possibile sorvegliare deserti e montagne prestoriche per individuare il pericolo prima ancora che si manifesti. Soldati e piloti vengono progressivamente sostituiti da robot e droni controllati a distanza. Ma, contemporaneamente, cresce il rischio che un gruppo di individui si fabbrichi in un garage o una caverna virus letali e atomiche sporche.
Il punto di arrivo è un esercito con meno soldati ma molto più specializzati; maggiormente integrato con le forze di polizia; che coinvolgerà di più i cittadini perché la capacità di difendersi deve essere diffusa; e, sempre di più, assumerà un carattere transnazionale.
Agli europei gli Stati Uniti contestano di non pagare quello che avevano promesso – l’America finanzia il 70% della spesa NATO – avanzando, periodicamente, proposte velleitarie che creano ulteriore confusione. L’Europa manca, però, ancora di più in termini di contributo al disegno di una strategia di difesa comune che sia non solo europea ma atlantica e che tenga conto delle discontinuità che il ventunesimo secolo impone. È questa una delle sfide più difficili che aspettano il prossimo inquilino della Casa Bianca e i leader che emergeranno dalle competizioni elettorali del prossimo anno in Europa.
Articolo pubblicato sul Corriere della Sera del 7 Novembre