LIVING TOGETHER, DIFFERENTLY

Massimo Rosati

Docente sociologia generale Università di Roma Tor Vergata

Dialogo, postsecolare

Parole.

 

Il 18 gennaio 1914, Émile Durkheim – uno dei padri fondatori della sociologia e autore, tra l’altro, delle Forme elementari della vita religiosa, di cui ricorre quest’anno il centenario – tenne una conferenza dal titolo “Le sentiment religieux à l’heure actuelle”, davanti al pubblico della Union de Libres Penseurs et de Libres Croyants.

Rivolgendosi ai liberi pensatori, li esortava a “porsi davanti alla religione nello stesso stato d’animo del credente. Solo a questa condizione si può sperare di comprenderla. Sentirla come il credente la sente, perché essa è proprio ciò che è per quest’ultimo. Così, chiunque non apporti allo studio della religione una specie di sentimento religioso non può parlarne!”. Non si tratta forse di un grandioso invito ad empatizzare con il credente? Non si tratta di una straordinaria esortazione a prendere terribilmente sul serio le credenze e i sentimenti di quest’ultimo? Come sanno tutti coloro che hanno familiarità con il pensiero di Durkheim, il risultato di un simile sforzo di comprensione ermeneutica è, per il sociologo francese, l’accento sulla dimensione dinamogenetica della religione, ossia “l’influenza che essa esercita sulle coscienze”. Spiegare la religione (le religioni tutte, per Durkheim) significa allora, in primo luogo, comprenderle come un sistema di forze che aiutano gli esseri umani “a fare fronte alle tribolazioni e alle difficoltà dell’esistenza”, conferendo loro una forza che altrimenti non avrebbero. Sappiamo anche che, per Durkheim, quel sistema di forze che non lascia gli individui soli, dando loro una forza accresciuta, è generato dalla comunità dei fedeli, dal gruppo dei fedeli riunito.

Per quanto non sia un argomento esaustivo dal punto di vista di un fedele, non si tratta forse di una base condivisibile anche dal punto di vista proprio di quest’ultimo da cui muovere verso un dialogo fruttuoso, una base da cui partire per innescare un processo di apprendimento complementare?

Rivolgendosi invece ai “liberi credenti”, era come se Durkheim li invitasse a valorizzare al meglio un sentimento fortemente religioso, ossia il dubbio, la modestia epistemica, quella che l’ebraismo chiama anva,  l’Islam chiama hilm, il cattolicesimo umiltà ecclesiologica, che rafforzano la tolleranza e il rispetto del pluralismo. Cercando un punto di equilibrio tra l’accoglienza delle credenze del credente, da una parte, e la valorizzazione della modestia epistemica, dall’altra, Durkheim sosteneva che “senza arrivare fino a sospettare la formula a cui si crede, la si deve almeno dimenticare provvisoriamente, salvo a ritornarvi più tardi”. Se “non vi può essere interpretazione razionale della religione che sia profondamente irreligiosa”, pure nessuna persona religiosa può, religiosamente parlando, considerare le proprie credenze certe e definitive, in modo esclusivo e non compromissorio. Con una mossa astuta, Durkheim sosteneva che il dubbio è in realtà proprio tanto della scienza quanto del sentimento genuinamente religioso. O dovrebbe esserlo. Se anche il libero credente abbraccia questo principio, allora, continuava Durkheim, “io credo che vi sia una impresa che possiamo perseguire in comune accordo, almeno fino a un certo punto”. A partire da questa premessa, egli invitava i liberi credenti a non far coincidere la loro fede con nessun dogma particolare, ma a pensarla come “un insieme di ideali che hanno per effetto di elevare l’uomo al di sopra di se stesso, di condurlo a distaccarsi dai suoi interessi materiali e volgari e di fargli vivere una esistenza che oltrepassa in dignità e in valore quella che conduce quando si occupa solo di assicurarsi la propria sussistenza”.

Non è l’auto-trascendenza una base condivisibile da cui muovere verso un dialogo fruttuoso con il non credente, una base da cui partire per innescare un processo di apprendimento complementare? Certamente, Durkheim chiedeva sia ai liberi pensatori che ai liberi credenti di essere riflessivi, liberi da opposti dogmatismi, da ansie cartesiane, che oggi assillano invece su opposti fronti fondamentalisti religiosi e ‘New Atheists’, e caratterizzava la situazione religiosa del suo tempo come una situazione in cui liberi pensatori, credenti, credenti in diversi simboli religiosi, erano chiamati a vivere insieme, diversamente. Ossia esattamente come quella condizione pluralista e postsecolare che abitiamo noi oggi.

 

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