Gli anni che passano giocano davvero brutti scherzi. Se me lo avessero detto trent’anni fa, mi sarei offeso e avrei risposto molto male all’incauto interlocutore. Eppure ieri mattina è successo: mi sono intenerito, quasi commosso, ascoltando il dibattito in Senato per la fiducia al neonato governo Letta.
Presiede il presidente Grasso che, con la sua aria da severo busto marmoreo provato dalle intemperie, è severissimo nel fare rispettare i tempi riservati ai diversi interventi, dal momento che per le 11.30 è programmata la diretta tv e quindi non si può mancare l’appuntamento con la storia. Mentre normalmente la presidenza usa una certa tolleranza e lascia che gli oratori superino di qualche minuto il tempo loro accordato, questa volta Grasso, alla scadenza del periodo previsto, spegne il microfono del senatore che sta parlando, anche se si trova a metà di una frase. Cortesemente chiede scusa, ma non transige.
Succede la stessa cosa, quando la parola tocca al senatore a vita Emilio Colombo (classe 1920). Parla con voce profonda, calmo, pacato, lentamente come può parlare una persona anziana; scadono i minuti e la voce scompare perché il microfono, anche in questo caso, viene spento. Colombo fa cenno di volersi spiegare, il presidente riaccende il microfono e l’anziano senatore a vita spiega che probabilmente aveva capito male perché pensava di avere a disposizione 10 minuti; Grasso ribatte gentilmente che i minuti erano 4 e che quindi lo deve interrompere. Tutto regolare: la legge è (o dovrebbe essere) uguale per tutti.
A questo punto si sente un vago rumoreggiare dell’aula e una voce riconoscibile che sostiene si potrebbe fare un’eccezione; il rumoreggiare si trasforma in un mormorio di approvazione; il presidente, con tono finalmente sorridente, dice qualcosa del tipo: mi sembra siano tutti d’accordo nel fare un’eccezione, senatore concluda pure il suo intervento. Nell’aula scoppia un applauso.
Mi sarei sicuramente offeso se mi avessero profetizzato un momento di commozione per questo antico notabile democristiano, per un membro di quel gruppo di persone che già allora ci sembravano ruderi di cui liberarsi al più presto.
Mi sono ricordato di un mio vecchio professore che chiamato a presiedere una sessione di un convegno scientifico, ringraziò e aggiunse che sarebbe poi andato a casa a leggere il De senectute, e allora ho riletto il De senectute pensando a Colombo, al mio professore e a me intenerito da quell’applauso dei senatori:
Sed tamen est decorus seni sermo quietus et remissus, factique per se ipsa sibi audientiam diserti senis composita et mitis oratio.
Ma tuttavia si addice ad un vecchio un parlare garbato e tranquillo, e un discorso pacato e disteso di un vecchio eloquente si fa ascoltare di per se stesso.
(Cicerone, Cato maior, de senectute, 9.28)
Beh, volendo possiamo trovare anche le nostre rassicurazioni: non tutto passa, vedi gli effetti delle carriere fatte in luoghi e ambiti oscuri ai più, esoterici per i profani, che danno voce a profeti delle nostre generazioni che non temono di essere smentiti perché hanno comunque la garanzia che il loro stipendio gli verrà pagato … dell’italica serie “armiamoci e partite”. Non tutto cambia. Benché, a pensarci bene: l’atto di conoscenza non modifica l’oggetto di conoscenza? dunque: significherà qualcosa se l’oggetto in questione assume una valenza ridicola, o no? Vabbè, dobbiamo essere clementi con i nostri coetanei o quasi-coetanei, siamo tutti nella condizione di poterci dire fra noi “toi hypocrite lecteur, mon semblable, mon frère” … 🙂 ci conosciamo troppo bene. Il che potrebbe, alla fine, inquietarci anche. O forse DOVREBBE?
Si potrebbero anche citare Gaspare & Zuzzurro: non c’è più il futuro di una volta! E però mi sento dolcemente felice che anche lo scorrere del fiume di Eraclito continui a insegnare cose nuove e soprattutto che il gioioso mutare delle idee e dei punti di vista mi porti a concludere che, come non avevo ragione trent’anni fa, qusi sicuramente non ho ragione neppure ora. Come diceva Einstein, tutto è relativo.
Temo che sia solo l’età che avanza, caro Massimo e cari sessant’epiuenni come me. O magari un po’ di stanchezza per questo posto in cui il passato si ostina a non passare, e anche noi stiamo resistendo a “passare”, dico male?
Come avrebbe detto un anziano senatore democristiano: ah non c’è più la cocaina di una volta!