COSE DELL'ALTRO MONDO

Riccardo Cristiano

Giornalista e scrittore

Dall’Oglio, voce scomoda in silenzio da tre anni e mezzo

Il 29 luglio 2013, cioè tre anni e mezzo fa, veniva sequestrato dall’Isis a Raqqa padre Paolo Dall’Oglio, in precedenza espulso dalla Siria dal regime di Bashar al-Assad. La vicenda del gesuita che ha fondato la comunità monastica di Mar Musa sembra incarnare la drammatica parabola siriana, della sua tragicità, delle sue inconfessabili verità.

La sua infatti è storia globale, francese soprattutto, ma anche turca, americana e così via, e poi è diventata una “storia italiana” grazie al presidente Mattarella che lo ha ricordato nel suo discorso di insediamento.

E i vertici ecclesiali cattolici? Papa Francesco ne ha parlato più volte, anche nell’anniversario del sequestro, definendolo “uno stimato religioso” del quale chiedeva il rilascio. Il cardinale Mario Zenari poi, in numerose occasioni, è stato esplicito nel commosso apprezzamento del suo amore e impegno per gli umili, gli oppressi, i dimenticati, e per il dialogo; e il patriarca caldeo Luis Sako poi ha definito il suo sequestro “la perdita di un uomo di grande cultura e amore, una grave mancanza per tutti i cristiani orientali”.

Ma molti altri  parlano con contenutezza di lui perché il suo destino, di vero pacifista, a differenza di altri, sembra proprio indicare le “convergenze parallele” degli opposti estremismi, rese evidenti dalla sua storia di espulso da Assad e sequestrato dall’ISIS.

Stiamo chiaramente parlando di un personaggio scomodo, forse troppo in questa guerra tanto feroce quanto sporca. Scomodo perché testimoniava che ad Homs non erano i jihadisti a bombardare le chiese, ma l’esercito siriano che bombardava tutta Homs, e quindi anche le chiese. Ma anche che seguitando a dividersi senza vedere il bene comune i siriani avrebbero perso tutto.

Le sue vere passioni sono sempre rimaste il dialogo interreligioso e la prospettiva politica di dare anche agli arabi mediorientali il diritto ad una piena cittadinanza, né sudditi di militari golpisti, o dei loro figli, né cittadini di serie b se di confessione diversa da quella del regimi “religiosamente ispirato” di turno.

Per questo si è impegnato in prima persona nella rivoluzione siriana, invocando da subito le comunità cristiane a capire che quello era un treno senza ritorno: o la primavera o la barbarie. Ricordo benissimo il giorno in cui mi disse: “Io non ho l’impressione che, al di là del pigolio vittimista, ci sia stata [in Europa] una vera preoccupazione per i cristiani orientali. Non c’è stata davanti per l’ Iraq, non c’è stata per il Libano [durante la Primavera dei Cedri del 2005]; non c’è stata una vera solidarietà costruttiva, cittadina, incoraggiante i cristiani e richiedente all’altra parte, alle altre parti, di accogliere l’idea di una cittadinanza comune all’interno di un progetto civile democratico. No, io ho l’impressione che i cristiani orientali siano una buona scusa per progetti politico-elettorali europei. Altrimenti bisognava operare da subito, appena è giunta questa occasione senza ritorno che è l’inizio della Primavera araba, in solidarietà con un popolo che chiede democrazia, colorata di islam come in Europa la democrazia è colorata di radici cristiane. E allora i cristiani sarebbero stati co-protagonisti, co-autori. Ce ne sono, grazie a Dio. Ma se questa solidarietà continua a mancare nel cinismo, nello sfruttare la condizione dei cristiani orientali a scopi elettorali, beh’… un giorno bisognerà celebrare un altro Giorno della Memoria.”

Parole profetiche, visto che allora a cacciata dei cristiani da Mosul era ancora di là da venire, e che si integrano benissimo con quanto mi hanno detto nel 2015, in occasione di un convegno del 2015 sui cristiani in Medio Oriente, l’arcivescovo caldeo di Kirkuk, il domenicano Yousif Thoma Mirkis, che aveva cura delle migliaia di cristiani di Mosul scacciati disumanamente dalle loro abitazioni e il nunzio apostolico in Siria, Monsignor Mario Zenari, oggi cardinale. Il primo mi ha detto che “il nostro nemico non è solo davanti a noi, è anche dentro di noi, sotto forma di paure e ideologie che ci bloccano. […] Anni fa ho scritto un articolo nel quale affermavo che con l’invasione dell’Iraq gli americani hanno aperto il vaso di Pandora. Ma quel che c’era dentro quel vaso ve lo avevano messo le dittature, nel nostro caso quella di Saddam Hussein; dittature che hanno aperto la perdurante guerra contro la cultura”. Monsignor Mario Zenari, in quelle ore drammatiche che erano segnate dal sequestro di padre Jacques Murad, dopo aver ricordato che sono almeno 20 mila i siriani sequestrati da questo o da quello, mi ha ribadito che “i cristiani qui credo abbiano una missione particolare: di aiutare e fare da ponte tra le varie contrapposte posizioni e fazioni”. Proprio quel che ha indicato per anni Dall’Oglio.

Paolo capisce fin troppo bene la politica, questo è il suo problema. Ma la sua forza incredibile, che ha fatto sì che ancora oggi, nonostante tanti silenzi, il suo nome riscaldi ancora i cuori di tantissimi, non è soltanto che aveva previsto tutto, fino alla vittoria di un candidato “etnonazionalista” come Donald Trump, ma che sapeva indicare ai credenti e ai non credenti in grande semplicità il percorso inverso. Ai primi con parole intrise di mistica: “La Chiesa, sebbene nello stile più evangelico, la più “Nazareth” possibile, cerca una vittoria attraverso una strategia. [… Vedersi] come gli intercessori, non in vista della vittoria mondana della Chiesa, del trionfo della cristianità, ma in vista di una venuta del Regno di Dio, una prospettiva escatologica, dove la Gloria di Dio riveste la Umma muhammadica d’un abito di misericordia e di luce.”

Ai secondi, come dimostra l’ intervista rilasciata a Rami Jarrah prima di rientrare in Siria, nel 2013, con parole scorrevoli e intrisa di amore per la fede e la laicità: “Cari amici siriani, se ciascuno di noi chiude la sua mente e crede che le cose andranno come vuole lui, resterà deluso: procedendo in questo modo le cose andrebbero come vuole il diavolo, noi tutti perderemmo il Paese e ciascuno di noi perderebbe l’altro.  Cari miei, pensiamo invece a cosa fare per mettere il paese sulla strada della comprensione, della convivenza, della fratellanza, della democrazia matura e della fine del regime tirannico.

A chi è con il regime dico: uniamoci per costruire insieme la Siria. Avete paura dell’estremista islamico? Certo, molti  lo temono; ma l’estremista islamico è un cittadino come te, non è un diavolo, lui è un siriano che ha delle aspirazioni e capisce le questioni in un certo modo; se riuscissimo a pensare in modo razionale non escludendo gli altri  potremmo immaginare  di costruire un paese dove regna la convivenza, la comprensione, la fratellanza, la solidarietà, e la diversità, accordandoci per una costituzione adatta a una Siria plurale.

L’unità nazionale che abbiamo avuto era imposta dall’alto, dal partito Baath, come nello stato napoleonico. Questo è il passato, che non funziona più: ora vogliamo un’unità  che parta dal basso, dalla volontà dei cittadini, e quindi foriera di  buoni rapporti con tutti i nostri vicini: i turcomanni porteranno rapporti privilegiati  con la Turchia, i curdi con i loro fratelli di  Sulaymaniyya ed Irbil, oltre a quelli turchi e iraniani, i drusi porteranno buoni rapporti con gli altri drusi della regione, gli sciiti ci porteranno relazioni privilegiate con gli sciiti del sud del Libano, dell’ Iraq e dell’Iran. Perché no? Ognuno di noi ha la sua appartenenza, io sono cattolico e appartengo a Roma, che problema c’è in questo? E se l’altro è cristiano ortodosso avrà  e porterà rapporti privilegiati con Istanbul, la Grecia e la Russia.

Dobbiamo mettere tutte queste appartenenze in un quadro di comprensione umana caratterizzata dalla  religiosità.  Alcuni di noi dicono che “la religione è di Dio e la patria è di tutti”. Alcuni  non amano questa frase pronunciata da Fares al-Khoury, [il cristiano e primo ministro della Siria dopo l’indipendenza] e vogliono mettere la patria e Dio da parte, perché portano problemi: pensano che la patria non può appartenere a tutti se non lasciamo Dio fuori dalla porta. Io non rifiuto questo detto che piace a tanti siriani, cristiani e musulmani, ma voglio un paese plurale e armonioso, dove regni la religiosità, cioè dove le persone si amano perché essere umani, creature di Dio, e quindi con diritti e dignità  e il meritato rispetto. Religiosità significa guardarsi come Dio guarda le sue creature. Torno così all’ottimismo e alla voglia di costruire l’unità nazionale che non sia imposta dall’alto, come fece il partito Baath. Questo è il passato, che non funziona più: ora vogliamo un’unità che parta dal basso, dalla volontà dei cittadini, e quindi foriera di  buoni rapporti con tutti i nostri vicini. Avremo una Siria come la desideriamo: se la vogliamo parlamentare o presidenziale o federale, o la vogliamo unita come era prima o con più autonomie regionali… bene, la costruiremmo come vorremo!”

 

Caro Paolo, le cose non sono andate come speravi, ma come temevi. Ora almeno spero di rivederti presto, per continuare il nostro cammino insieme.

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