LA BELLA CONFUSIONE

Oscar Iarussi

Giornalista e saggista.

Da un altro pianeta. La “pantera” Scarlett e Kim Ki-duk a Venezia

Non solo non siamo soli nell’universo, ma evitate di accettare un passaggio in auto se a offrirvelo è una bella ragazza bruna dagli occhi penetranti. Inutile illudersi sul proprio fascino virile, l’offerta ha il plausibile secondo fine di risucchiarvi nelle spire di un’aliena a sonagli che si nutre di anime e pelle umane. Dopo giorni e giorni di violenza maschile ai danni di donne e bambini nei film di Venezia, ieri la Mostra ha aperto una parentesi per ricordare che la violenza può essere femmina. Gorgone, Nemesi, Medea… Vedova nera, vendicatrice fatale, pantera dal bacio che uccide. O assassina stellare come Scarlett Johansson in Under the skin del britannico Jonathan Glazer, in concorso, tratto dall’omonimo romanzo Michel Faber (Sotto la pelle, Einaudi ed., 2004).

La biondina fatale newyorchese, 29 anni, una delle dive più amate del mondo, qui è appunto in versione mora e si aggira per le Highlands scozzesi – un luna park della tristezza – a caccia di prede, facilmente irretite grazie al suo fascino. Ci cascano tutti e finiscono male, molto male. Lei si spoglia e li guarda, indietreggiando. Loro ne sono calamitati e la seguono, sprofondando letteralmente in un oscuro lago onirico che li ricopre e li imprigiona, uomini a mo’ di cetriolini sotto aceto. Infine implodono per consunzione lasciandole in eredità la pelle vuota, comoda per il cambio di stagione della marziana, si intende.

L’unico a venire graziato è un giovane deforme, un mostro degno degli incubi di David Lynch, alla cui eliminazione provvede però subito dopo un motociclista, un po’ vice e un po’ controllore della protagonista. Per la Donna che cadde sulla terra i problemi cominciano quando si accorge di provare vaghe sensazioni e pulsioni umane, tipo picchiettare le dita mentre ascolta un brano musicale o farsi sedurre da un uomo dolce e protettivo. E, si sa, l’umanità è pericolosa! L’aliena sexy si ritroverà in un crescendo di guai fino al tragico epilogo.

Un’altra figura femminile assai temibile si è vista ieri in Moebius, nuovo film del coreano Kim Ki-duk che l’anno scorso vinse il Leone d’oro con Pietà. E’ una moglie-madre castratrice che avrebbe fatto la gioia di Sigmund Freud, cioè una donna stufa dei tradimenti. Dapprima cerca di evirare il marito e poi infligge la punizione estrema al loro figliolo diciottenne. Un dramma grottesco sulle/sul pene dell’inferno, con inserti visionari dedicati al trapianto di genitali e a certi metodi alternativi orientali per raggiungere il piacere in caso di mutilazione, dallo strofinamento di un sasso sul dorso della mano a una sana coltellata  all’altezza della articolazione scapolo-omerale (solo in caso di grande amore).

Kim Ki-duk ha detto di essersi ispirato al “nastro di Moebius”, metafora matematica e artistica per intendere la costante duplicità del reale. Ovvero, le cose hanno sempre due facce: esplorarne una non serve a conoscerne l’altra (parliamone, ma non ora). Il film, fuori concorso, è stato accolto con rispetto nonostante talune sequenze surreali o rocambolesche da slapstick con i genitali “volanti” nelle strade. I dialoghi sono quasi del tutto assenti, il che, d’altro canto, rende Moebius un esempio di cinema rarefatto e possente. Finale terribile, con spargimento di sangue generalizzato e morale provvisoria: sarà meglio preoccuparsi se mammina tiene un coltellaccio sotto il cuscino e ancora di più se è l’unica donna a infiammare le fantasie domestiche (papà escluso).

Per fortuna a riscattare l’eterno femminino da cotanta brutalità ha provveduto ieri ‘O Sole Minnie, un cortometraggio di tre minuti diretto da Paul Rudish e centrato sull’eroina della Disney. Il gondoliere Topolino resta folgorato dalla bella cameriera  Minnie che lo fa penare un bel po’, ma infine gli concede il suo cuore. Delizioso e romantico, un amore che sembra di un altro pianeta.

(Articolo pubblicato sulla “Gazzetta del Mezzogiorno” del 4 settembre 2013)

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