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Massimo Rosati

Docente sociologia generale Università di Roma Tor Vergata

Cosa possiamo imparare da Jared Diamond sulla religione?

Libri.

Credevo che mi sarebbe piaciuto. Il sottotitolo di Il mondo fino a ieri, ‘Che cosa possiamo imparare dalle società tradizionali’? (Einaudi), lascia sperare che lo sguardo sul mondo dell’autore sia se non privo di pre-giudizi modernisti quando meno riflessivo; e invece le pagine di questo libro, che si vuole di ‘divulgazione scientifica’ e che è stato di grande successo, lasciano con un frustrante senso di déjà vue. Certo la scrittura di Jared Diamond, già vincitore di un Premio Pulitzer e autore di best sellers, è brillante e accattivante. A più riprese l’autore afferma che, pur senza nostalgie e ingenuità, intende sottolineare quanto abbiamo da imparare dalle società tradizionali, ma alla fine la sua analisi sembra ricalcare luoghi comuni della cultura di quelle società che con abilità retorica definisce ‘Weird’, ossia occidentali (western), istruite (educated), industrializzate (industrialized), ricche (riched), e democratiche (democratic). Non sono l’unico a pensarla così (e anzi in parte sto richiamando da vicino il commento di Stephen Corry, direttore di Survival International), tanto che il libro ha suscitato un vasto e a tratti aspro dibattito. Sul libro nel suo insieme ci sarà modo, in un secondo tempo, di tornare. Già il solo capitolo sulla religione, tuttavia, basta a dare il senso di una lettura che non aggiunge e non sposta nulla rispetto al tutt’altro che ‘weired’ senso comune delle società moderne occidentali.

Associando il punto di vista del biologo evoluzionista, per il quale la religione sarebbe stata ‘in origine un prodotto secondario della crescente accuratezza con cui il nostro cervello imparava a formulare spiegazioni causali e a fare previsioni’ (p. 343), con una lettura in partenza funzionalista e materialista, Diamond si domanda quali siano le funzioni della religione, e sulla base dell’analisi di queste ultime quale futuro si possa ragionevolmente per essa prevedere. La definizione dell’autore comprende a) la fede in agenti sovrannaturali, b) la presenza di movimenti sociali intorno alla suddetta fede, c) la richiesta ai membri di questi movimenti di ‘sacrifici onerosi’ che ne comprovino la genuinità, d) la capacità di influire sui codici comportamentali, e) quella di distribuire ricompense e sanzioni. Sulla base di questa definizione, Diamond individua sette funzioni che la religione, di per sé esistente ‘almeno per tutti i 60.000 anni di storia del moderno Homo sapiens e forse da molto prima’, avrebbe svolto ora più ora meno a seconda delle epoche: 1) fornire strumenti di interpretazione sovrannaturale della realtà, 2) offrire tecniche di contenimento dell’ansia tramite rituali, 3) offrire conforto per sofferenza e morte, 4) offrire strumenti di standardizzazione organizzativa per società complesse, 5) formare all’obbedienza politica,  6) diffondere codici morali di comportamento verso gli estranei, 7) giustificare i conflitti. A distinguere le società tradizionali da quelle moderne sarebbe semplicemente il peso accordato ora all’una ora all’altra di queste funzioni, come nel caso più ovvio del venire sostanzialmente meno della funzione interpretativa della realtà nel contesto moderno a causa del ruolo corrosivo della scienza. E quanto al futuro? Se si assisterà a un miglioramento degli standard di vita in tutto il pianeta, le funzioni della religione 1 e da 4 a 7 sono destinate a decrescere, mentre la 2 e la 3 ‘avranno probabilità di sopravvivenza’. “In particolare, è ipotizzabile che in futuro si ricorra alla religione soprattutto per dare un senso alla vita e alla morte, intese come fenomeni individuali che da una prospettiva scientifica potrebbero sembrare privi di significato, e anche se, a fronte delle risposte illusorie della religione, la scienza arrivasse un giorno a fornire risposte veritiere, probabilmente molti continueranno a non gradirle. Se invece gran parte della popolazione mondiale dovesse continuare a vivere in povertà o se (peggio ancora) un eventuale arretramento dell’economia e degli standard di vita si accompagnasse a una pace più precaria, tutte le funzioni della religione, compresa l’interpretazione sovrannaturale del mondo, potrebbero tornare in auge (pp. 371-372).

Cosa ci rimane di uno sguardo tanto ambizioso da parlare di religione al singolare, su scala evolutiva e comparativa? Una serie di trite e ritrite rappresentazioni della religione come tecnica ansiolitica e strumento ideologico di gestione dell’ordine sociale, la cui forza è in buona misura inversamente proporzionale ai livelli di benessere ed educazione. Il problema, evidentemente, è che Diamond ha sulla religione uno sguardo rozzamente funzionalista ed evoluzionista, privo della sensibilità non riduzionista di un Émile Durkheim o di un Robert Bellah, due nomi esemplari di letture in parte funzionaliste ed evoluzioniste ‘classiche’. Né all’uno né all’altro pensare la religione (cioè i tratti comuni alle diverse tradizioni) in termini sociologici ha impedito di guardare al nesso costitutivo che esiste tra sacro, mito e rito, da un lato, e capacità simboliche dell’uomo, dall’altro. Detto in altri termini: Diamond impoverisce la lettura funzionalista fino a fare della religione una tecnica di gestione dell’ansia e un instrumentum regni, mentre manca del tutto nella comprensione dell’homo religiosus. Così non si vede traccia né della funzione di trascendimento del soggetto e inclusione di quest’ultimo in legami sociali solidaristici, della capacità di nutrire pratiche comuni e memorie condivise anti-atomizzanti, né dello stupore davanti a una ierofania, della ripetizione di un gesto archetipico che libera dalla sofferenza della storia, o dell’apertura espressiva ad una narrazione che difende il particolarismo del non-identico, irriducibile e inomologabile. Né Durkheim né Eliade, né una sola intuizione o affermazione che renda riflessivo anche solo per una virgola il senso comune ‘weired’. Instrumentun regni e ansiolitico: questo sulla religione impariamo, secondo Diamond, da uno sguardo capace di  abbracciare società moderne e società tradizionali. Un ben misero risultato, che però forse costringerebbe a guardare criticamente all’approccio complessivo del geografo e biologo evoluzionista Jared Diamond alle società tradizionali.

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