EDITORIALE da santalessandro.org
Sabato 31 ottobre 2020
Giovanni Cominelli
CONTRO IL SEPARATISMO ISLAMICO
UNA BATTAGLIA DI CIVILTA’
Quello del “separatismo islamico”, contro il quale Macron intende ingaggiare una necessaria e meritoria battaglia culturale e securitaria, non è un fenomeno visibile solo in terra di Francia. In tutta Europa, laddove esistano comunità islamiche, le tendenze separatiste sono presenti e in sviluppo. Accade già in alcuni quartieri periferici di Milano. Il pronto intervento securitario è necessario, data la degenerazione criminale e talora assassina – si pensi alla mafia nigeriana – che si sviluppa in questi ghetti. Tanto più se si esprime come terrorismo organizzato o individuale. Ma è ben lungi dall’essere sufficiente. Giacché il separatismo islamico è l’effetto “naturale” di due cause convergenti: la creazione di ghetti socio-residenziali per immigrati e la cultura islamica di origine.
Ed è a questa altezza – quello della cultura – che lo sguardo europeo si è mostrato spesso confuso e l’azione di integrazione degli immigrati incerta tra il modello francese, fortemente nazionalista-giacobino, e quello inglese, assai più lassista, né l’uno né l’altro essendosi mostrati efficaci.
La cultura politica islamica si differenzia da ogni altra – non solo occidentale, ma anche asiatica – per un’identificazione totale di legge religiosa e legge civile, di religione e Stato. La sharia continua a valere come metodo e contenuto per l’intero arcobaleno islamico, che va dalla teocrazia iraniana al regime “laico” di Al Sisi in Egitto.
In nessuno di questi Paesi, fatta una qualche eccezione per la Tunisia, lo Stato difende le libertà e i diritti fondamentali della Dichiarazione universale dell’ONU.
Come spiegò già nel 1981 Said Rajaie Khorasani, rappresentante iraniano all’ONU, la Dichiarazione universale rappresenta “un’interpretazione laica della tradizione giudaico-cristiana”, che non può essere accettata dai mussulmani senza violare la legge dell’Islam.
Perciò il 19 settembre del 1981, presso la sede dell’Unesco di Parigi, su pressione di Paesi quali il Sudan, il Pakistan, l’Iran e l’Arabia Saudita, fu approvata la Dichiarazione islamica dei diritti dell’uomo, la cui fonte giuridica, gerarchicamente superiore, era il Corano e le tradizioni islamiche (hadith).
Nel 1990 al Cairo la Diciannovesima Conferenza Islamica dei Ministri degli Esteri ha varato una seconda Dichiarazione del Cairo dei Diritti umani dell’Islam. Il 15 settembre 1994 è stata adottata dal Consiglio della Lega degli Stati arabi una Carta araba dei diritti dell’uomo, poi ulteriormente emendata il 22 maggio 2004.
Nel preambolo ai 23 articoli si afferma: “Da oltre quattordici secoli, l’Islam ha definito i Diritti dell’Uomo, nel loro insieme e nelle loro applicazioni, con una Legge divina”. I dodici diritti stabiliti nel Corano e dalla Sunna sono i indicati dal Creatore e nessuna creatura umana può annullarli o combatterli. Solo che “la Legge divina” coincide con le leggi vigenti, che concretamente delimitano quei diritti. Secondo un classico circolo vizioso, le leggi esistenti vengono sacralizzate da una sedicente rivelazione e poi adorate come dettato del Divino.
E’ noto che l’Islam è una costruzione sincretica, nella quale sono confluiti elementi teologici pre-esistenti: ebraici, cristiano-ariani, cristiano-nestoriani, zoroastriani, che Maometto, durante i suoi vagabondaggi commerciali tra la fine del 500 e l’inizio del 600, ha raccolto, frequentando le basiliche della Siria, allora grande centro intellettuale del Cristianesimo, dotato di scuole di traduzione dei testi sacri dall’aramaico, all’arabo, al greco. Maometto ha assemblato quei materiali per costruire una religione semplice, senza dogmi, senza clero, e una morale sociale e sanitaria – dalla circoncisione alla proibizione della carne di maiale – adatta a tenere insieme le tribù del deserto.
Ciò che è affermato con forza è il Dio assoluto, pura Volontà e Potenza, che parla al credente attraverso il profeta, cioè Maometto stesso, autoproclamatosi ultimo dei profeti abramitici, tra cui, penultimo, Gesù. Il fedele è tenuto a sottomettersi – Islam significa, appunto, sottomissione – alla volontà di Allah, che si manifesta attraverso il Corano, dettato da Allah attraverso l’Arcangelo Gabriele a Maometto e da lui ad alcuni discepoli, interpretato dalla comunità politico-religiosa (la Umma) attraverso la formulazione della legge islamica, la Sha’ria: la legge positiva islamica. I cinque pilastri (la testimonianza di fede, le preghiere rituali, l’elemosina, il digiuno durante il mese di Ramadam, il pellegrinaggio a La Mecca) e la Sha’ria sono i binari.
La cultura religiosa e politica che origina dal Corano è del tutto diversa da quella cristiano-occidentale, su due punti decisivi: le libertà dell’uomo e la separazione netta tra religione e Stato. Se Allah impone, il Dio cristiano propone; se Allah costringe la tua volontà, il Dio cristiano parla alla tua ragione; se ti sei sottomesso, lo sei per sempre; il Dio cristiano ti lascia libero di andartene, sei libero di dirgli di no. La libertà religiosa è tanto libertà di rifiuto della religione quanto libera scelta di una qualsiasi religione.
La storia del Cristianesimo e della Chiesa è stata largamente contraddittoria su ambedue i punti in questione. Dopo Costantino, l’identificazione tra religione, Chiesa e Stato è stata crescente. Dall’algerino papa Gelasio (492-496) fino a Giovanni XXIII la storia del Cristianesimo europeo è costellata da guerre, sangue, scismi, eresie. E’ arrivata fino al Concilio Vaticano II, dopo aver attraversato le tempeste dell’Umanesimo, della nascita dello Stato moderno, del Rinascimento, del Seicento scientifico, dell’Illuminismo, del Marxismo ecc… La libertà religiosa – l’archetipo e il fondamento di ogni libertà umana – è stata conquistata in Europa attraverso lotte sanguinose e secolari.
La cultura politica europea si è costruita sull’eredità cristiana, spesso contro la Chiesa stessa.
Oggi, come si vede, la cultura politica islamica e quella europea sono inconciliabili. Non si tratta di una guerra di religione, ma di un conflitto di civiltà.
Come gestirlo? Ci sono solo due modi: quello dell’intellectual suasion e quello della lotta armata.
Ora, nell’Islam sono emerse, già a metà degli anni ’30, delle tendenze radicali, che hanno reinterpretato la jihad non tanto come ascesi interiore spirituale quanto e soprattutto come guerra santa contro i non-mussulmani e persino contro i regimi mussulmani esistenti, accusati di essere pre-islamici e apostati. Negli anni ’60-’70, mentre nel Cristianesimo nasceva la teologia della liberazione, nell’Islam posizioni analoghe venivano sviluppate dai Fratelli mussulmani, fondati nel 1928 da Hassan al-Banna e, dopo il suo assassinio nel 1949, diretti da Sayyid Qutb. Il quale sarà fatto impiccare da Nasser, mentre molti Fratelli mussulmani saranno ferocemente perseguitati, torturati, impiccati.
In Iran questa teologia della liberazione ha preso il potere e ha versato un fiume di sangue. Come scrisse Huntington nel 1993: “Le frontiere dell’Islam grondano sangue”.
Sono queste ultime tendenze che influenzano, nel mondo mussulmano interno, i movimenti di rivolta contro l’oppressione di regimi dittatoriali corrotti e, nel mondo mussulmano dell’emigrazione, il rifiuto di una civiltà diversa e la reazione contro i respingimenti, la clandestinità, la ghettizzazione.
Nel dramma di Nizza confluiscono molto degli elementi sopra ricordati: un giovane che aspira al benessere economico e ai consumi, il fascino della teologia fondamentalista islamica, la fuga verso i luccicanti lidi europei, quali si vedono sui canali televisivi, la frustrazione per essere stato respinto, la rabbia e il rancore…
Per tutta l’Europa il dramma di Nizza conferma l’urgenza e la complessità culturale, sociale e politica della questione migratoria. L’urgenza di una regolazione amministrativa rigorosa a livello della frontiera europea e di una battaglia di integrazione culturale, che deve cominciare nelle scuole.