Come tutti i mediocri vaticanisti anch’io nel 2013 cercavo di farmi un’idea di chi fosse Jorge Mario Bergoglio, da poco vescovo di Roma. Così appena mi fu possibile acquistai “Il cielo e la terra”, la traduzione italiana del libro che Bergoglio aveva scritto a Buenos Aires con il rabbino Skorka. Mi imbattei presto in questo passaggio: “Un altro difetto è la beneficienza nel senso in cui la praticherebbe Susanita, il personaggio di Mafalda: faccio un bel rinfresco con stuzzichini, dolcetti e tante cose buone per comprare polenta, fagioli e tutte quelle porcherie che mangiano i poveri.” Non conoscevo tanti vescovi o cardinali, ma uno di loro capace di citare Susanita non mi veniva in mente. Me ne sono ricordato leggendo il bell’articolo che il vice-direttore de La Civiltà Cattolica ha scritto per ricordare, dopo la sua scomparsa, Joaquín Salvador Lavado Tejón, noto come Quino, il papà di Mafalda e quindi di Susanita. Bergoglio, argentino come Quino, sapeva parlare agli argentini, con il loro linguaggio, la loro cultura, mi sono detto leggendo l’articolo di padre Pani, che mi ha subito riguardato per questa inizio folgorante: “La scomparsa di Quino, il «papà» di Mafalda, ha portato alla luce un po’ ovunque l’immenso mondo delle strisce disegnate lungo cinquant’anni dall’artista argentino. Tra queste è emersa una famosa vignetta, correntemente attribuita a Mafalda: «Fermate il mondo, voglio scendere!». Ebbene, la battuta non è sua! Lo ha rivelato lo stesso Quino, in un’intervista del 2012 alla Bbc, non solo negando la paternità della frase, ma aggiungendo che Mafalda vuole bene al mondo, lo vuole migliorare, non intende affatto abbandonarlo… Il suo affetto sincero è indiscutibile. Numerose strisce la mostrano intenta a curare il mappamondo: lo mette in un lettino, gli parla, lo accarezza, lo consola, chiama perfino l’ambulanza; soprattutto, vuole la pace per il mondo. E quando si accorge che sta male, perché Pechino, il Pentagono e il Cremlino sono in conflitto, li cancella dal mappamondo, perché così si potrà vivere in pace”.
Non lo sapevo, e questa scoperta mi ha portato con più agio nel racconto di un mondo, quello della contestazione, che è stato e forse è ancora il mio: ma come? Padre Pani conosce questo mondo, ha scritto articoli molto importanti sul ‘68, l’anno del boom mondiale di Mafalda, “la contestataria”. Mi ricordo il suo articolo del 2018: “Ma che cosa è rimasto di quell’anno cruciale? Sicuramente molte interpretazioni hanno colto nel ’68 solo la lotta per i diritti civili, la liberazione sessuale e la causa che ha portato, in Italia, alla deriva della violenza e del terrorismo. Ma il ’68 è stato soprattutto una generazione che ha contestato il mondo che aveva ereditato, poiché non corrispondeva più alla realtà.”
Dunque questa lettura mi ha preso perché mi ha riguardato da subito: “Mafalda, la sua creatura, l’enfant terrible, divenuta in brevissimo tempo simbolo di un mondo critico e pessimista, contestatario e mordace, sempre sovversivo, ma intimamente sincero e buono, soprattutto intelligente e saggio, colmo di buon senso. Le sue battute più sarcastiche sono contro «i grandi», che non fanno molto per risolvere i drammatici problemi che attanagliano gli Stati: la fame, l’ingiustizia sociale, la guerra, la stupidità umana. Odia il comunismo, ama la democrazia ed è appassionata dei Beatles. Mafalda può anche risultare antipatica, perché sempre pronta a «fare le bucce» ai discorsi degli adulti, alla cosiddetta «saggezza dei grandi», alla cultura dominante, eppure ha sempre ragione, e soprattutto fa sorridere, è spassosa e diverte. La sua critica non risparmia nessuno: né la società, né la scuola, né la famiglia, e nemmeno le istituzioni, la polizia, l’economia monetaria e perfino la motorizzazione; eppure il bello è che vede giusto, non si può fare a meno di condividere ciò che pensa”.
Dopo aver dato un protagonista al mondo, Quino la fa sparire nel ‘73, sono anni di “guerra sporca” per l’Argentina. Ma… “Quino torna a disegnare Mafalda nel 1977, quando l’Unicef gli chiede di illustrare i dieci princìpi della Dichiarazione dei Diritti del Bambino. Così Mafalda è «risorta», scelta per le campagne promozionali, e l’autore disegna per l’organismo mondiale 10 vignette e un poster, cedendo gratuitamente i diritti. La contestataria Mafalda vive per proclamare i diritti dei piccoli che nel mondo ancora non sono da molti osservati; e nell’ultima vignetta punta il dito contro il mappamondo, ammonendo: E questi diritti… rispettiamoli sul serio, eh? Che non accada come per i dieci comandamenti!”
E’ ora di capire chi sia stata e chi seguiti ad essere il personaggio Mafalda e padre Pani ci ricorda quanto scrisse Umberto Eco: “Se si è usato, per definirlo, l’aggettivo di “contestataria”, non è per uniformarsi alla moda dell’anticonformismo a tutti i costi: Mafalda è veramente un’eroina arrabbiata che rifiuta il mondo così com’è.” Ecco la frase importante: rifiutare il mondo così com’è. Com’è? Valga per tutte le citazioni questa relativa a Mafalda e suo padre: “Il padre di Mafalda sdegnato sbatte a terra il giornale, perché l’arbitro non ha visto un fallo durante una partita, e grida: «Una cosa simile è intollerabile!». Lei, incuriosita, legge nel giornale: «Aumenta sempre il numero di bambini abbandonati e denutriti». E poi rivolgendosi a lui: «È bello vedere che ti preoccupi di cose così importanti, papà. Tutti dovrebbero essere come te!». Appare il volto scuro e vergognoso del padre…”.
Proseguendo nella lettura quasi attende di scoprire che Gabriel Garcia Marquez ha saputo scrivere: “Quino ci sta dimostrando che i bambini sono i depositari della saggezza. Quello che è triste per il mondo è che man mano che crescono perdono l’uso della ragione, a scuola dimenticano ciò che sapevano alla nascita, si sposano senza amore, lavorano per denaro, si puliscono i denti, si tagliano le unghie e alla fine diventano adulti miserevoli, non affogano in un bicchier d’acqua ma in un piatto di minestra. Verificare questo in ogni suo libro è la cosa che assomiglia di più alla felicità: la Quinoterapia”.
Forse il problema per riscoprirci sanamente contestatori è contestare quella parte di noi che ci dice “rassegnati, stupido”. Se così fosse saremmo anche noi un po’ responsabili dell’emergere del nichilismo sulle ceneri della contestazione.