COSE DELL'ALTRO MONDO

Riccardo Cristiano

Giornalista e scrittore

Con il sinodo la Chiesa è in mare aperto.

Per capire cosa abbia prodotto l’appena conclusosi sinodo della Chiesa cattolica bisogna tener presente che molti commenti partono dal punto di vista interno alla Chiesa di chi scrive, visto che assai raramente le questioni cattoliche vengono seguite o raccontate da non cattolici. Così un riformatore “progressista” partirà dalla percezione che non si è fatto abbastanza, la sua posizione l’ha espressa anni fa il cardinal Carlo Maria Martini dicendo che la Chiesa è in ritardo di due secoli e a quella lui resta, convinto che nel frattempo il ritardo sia pure aumentato e non sopporta che si perda altro tempo. Un tradizionalista conservatore invece parte dalla certezza che non essendoci nulla da fare, o cambiare, tutto ciò che si fa o si cambia è un eccesso, un pericolo. Il mondo si polarizza anche dentro la Chiesa e capire se e cosa realmente si sia fatto diviene sempre più complesso. 

Il primo criterio per cercare di valutare con obiettività sarebbe quello dell’interessato distacco. Interessato perché convinto che la Chiesa oggi conti e molto per il futuro del mondo, altrimenti ci si occuperebbe di altro, distaccato perché non si è parte di questo confronto. 

Il primo criterio che applicherà un osservatore animato da interessato distacco è quello relativo ai tempi della Chiesa e dei suoi mutamenti. La pena di morte è rimasta in vigore nella Città del Vaticano fino ai tempi di Paolo VI, che la abolì, ma il diritto canonico al riguardo è stato cambiato da Francesco. Benedetto XVI invece si è dovuto occupare, nel XXI secolo, addirittura del Limbo, quella stranezza giuridica divenuta riferimento per tutti e per secoli senza che esistesse nella dottrina. Anche la guerra giusta, alla quale la Chiesa ha rinunciato da molto tempo, è uscita definitivamente dalla porta in questi ultimi anni. I tempi della Chiesa vanno capiti per valutare ciò che accade. 

Mi risulta allora difficile capire chi si aspettava che il sinodo svoltosi in questi giorni potesse produrre un nuovo regolamento per la vita dei preti che superasse, dopo un millennio – non dopo due secoli- l’inattualità del celibato obbligatorio, che non ha a che fare con il dogma. Il discorso è: siccome nulla lo impone, perché imporlo? E poi: se si sancisce che Dio è amore e uno è omosessuale, allora perché non vedere che lui capisce la sua relazione di coppia come ricerca di Dio? Questo ritardo rispetto alla società, che forse non è di due secoli, riguarda una concezione autoritaria e una lettura sbagliata dei testi sacri, visto che a Sodoma Dio condannò la popolazione non per sodomia ma per la mancata ospitalità verso gli stranieri contro i quali si agì con violenza. Ma questo, che non ha nulla a che fare con i matrimoni omosessuali, richiede quel tempo che porta la Chiesa a essere sempre in ritardo. Il riformista però non ne può più, ritiene che la misura sia colma, che celibato obbligatorio ovunque nella Chiesa (latina) e discriminazione degli omosessuali vadano eliminati, oggi, perché non sopporta che la realtà della Chiesa rimanga dalla cintola in giù. Ma la polarizzazione sul punto non è soltanto sua, anche i tradizionalisti ne fanno una questione di vita o di morte, perché la realtà della Chiesa per loro non può che restare nella più assoluta priorità dalla dalla cintola in giù. Nel campo delle percepite urgenze ovviamente c’è anche  il fine vita. E su tutto questo cosa ha prodotto il sinodo? Leggo: “Proponiamo di promuovere iniziative che consentano un discernimento condiviso su questioni dottrinali, pastorali ed etiche che sono controverse, alla luce della Parola di Dio, dell’insegnamento della Chiesa, della riflessione teologica e, valorizzando l’esperienza sinodale. Ciò può essere realizzato attraverso approfondimenti tra esperti di diverse competenze e provenienze in un contesto istituzionale che tuteli la riservatezza del dibattito e promuova la schiettezza del confronto, dando spazio, quando appropriato, anche alla voce delle persone direttamente toccate dalle controversie menzionate. Tale percorso dovrà essere avviato in vista della prossima Sessione sinodale”. 

Dunque si è preso tempo? Sì, ma anche no. L’anno prossimo, nel secondo tempo della sessione sinodale, potrà accadere che la voce di un omosessuale sia ascoltata in quanto voce di un cattolico omosessuale. E’ poco? Una donna come la cattolicissima vedova Welby, se qualche italiano ci pensasse, potrebbe entrare in sinodo per parlare del suo dramma. E lo stesso potrebbe fare un prete che, magari dopo aver ottenuto la dispensa, si è sposato. E’ poco? E’ prendere tempo? 

Si può non essere soddisfatti, forse direi che si deve non essere soddisfatti se si crede nella Chiesa. Ma oltre a credere si guarda, allora si deve prendere atto che il passo non è irrilevante. E perché? 

Perché non si può parlare di sinodo senza sapere cosa voglia dire. Il sinodo è la forma collegiale della Chiesa, infatti vuol dire “camminare insieme”: tutti! Era quella originaria della Chiesa. Ma la Chiesa cattolica è presto divenuta gerarchica, non sinodale. Fu Paolo VI a volere il sinodo, dei vescovi e basta, come strumento consultivo del Papa, cioè del vertice della gerarchia che non conosceva collegialità. Ora il sinodo, dei vescovi, è stato aperto a delegati e delegate, non vescovi, e votanti, giunti da ogni Paese del mondo. Da questa enorme assemblea non potevano essere esclusi africani, latino americani, vescovi e non, espressioni del mondo in via di sviluppo. E così per la prima volta, dovendo trovare il bandolo per poter camminare insieme, si è scelto di adottare il passo dei poveri. Si può camminare insieme, ricchi e poveri, al passo dei ricchi? No! Questo è impossibile e infatti l’assemblea sinodale ha dovuto dire chiaramente e indiscutibilmente che la Chiesa fa sua l’opzione preferenziale per i poveri. Forse se due secoli fa ci fosse stata un’assemblea sinodale di uomini e donne di tutta la Chiesa universale, la Chiesa su questo non sarebbe stata in ritardo di due secoli. Era allora, ai tempi di Davide Copperfield, che la Chiesa avrebbe dovuto scegliere l’opzione preferenziale per i poveri. Ma facendolo oggi con due secoli di ritardo, lo fa inserendo tra i poveri, i soggetti verso i quali esercitare questa opzione preferenziale, i migranti. Io credo che sarebbe stato impossibile cercare un bandolo per camminare insieme con vescovi e delegati di tanti Paesi africani o centro asiatici senza proclamare l’opzione preferenziale per i poveri e i migranti. Dunque la Chiesa non è più in ritardo di due secoli. Grazie al fatto stesso del sinodo arriva in ritardo al più di un secolo, ma sopravanza tutte le società occidentali, cioè noi stessi, parlando di accoglienza da compiersi nell’ interculturalità, non nel multiculturalismo che crea ghetti in tante città europee. Il multiculturalismo crea quel sistema fallito per cui i pakistani vivono in un quartiere, i Bangla in un altro e così via. L’interculturalità crea tra tutti noi la nostra società. 

Potranno i cantori della tradizione dire alle Chiese africane o latino-americane, “noi questo lo rifiutiamo”? Non potranno. Allora le porte del sinodo hanno socchiuso uno spiraglio al quale i tradizionalisti, convinti che esista una sola cultura (la loro) buona per tutto il mondo, si opporranno ma in silenzio, nel silenzio della resistenza, che si concentrerà sulle “priorità interne”. Questo spiraglio però è lo spiraglio dal quale dipende tutto il resto, non poteva e non potrebbe essere vero il contrario. Partendo dall’opzione preferenziale per i poveri, che ora i delegati di tutto il mondo hanno potuto invocare come la loro, si dovranno aprire le porte a un discorso che apre altre porte, nell’amore per il fratello. 

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