Fatti.
L’ultimo numero di Oasis, importante rivista legata alla omonima Fondazione nata da una intuizione del Card. Angelo Scola, ospita un articolo di John Milbank e Adran Pabst, dal titolo “La città cristiana baluardo per ogni credente”. La tesi dei due autori è chiara, e può essere sintetizzata come segue: per l’Islam e le altre fedi che abitano i moderni stati Europei, “una cristianità rinnovata è molto meglio di un sistema politico secolare o di una piazza pubblica post-secolare”. Il primo viene fatto coincidere con un laicismo militante solo presuntivamente neutrale, ma in realtà ideologico e nemico di ogni espressione pubblica di fede; la seconda, la piazza pubblica post-secolare (nelle diverse versioni teorizzate da J. Habermas e W. Connolly), pur andando incontro ad una politica post-liberale del pluralismo, non saprebbe accogliere al suo interno visioni genuinamente trascendenti del sacro, ridotto o a morale (Habermas) o ad una differenza, a una “alterità” sacralizzata (Connolly) che è solo ‘residualmente trascendente’. A fronte di tanto palesi incomprensioni del vero significato del trascendente, le diverse religioni stanno ormai scoprendo un mutuo interesse ad una “alleanza contro la secolarizzazione”. A partire da una comune ostilità verso “l’arroganza della legge secolare” e i limiti del pluralismo post-secolare, cristiani, musulmani, ebrei e altri credenti possono facilmente riconoscersi il ruolo pubblico che le rispettive istituzioni possono giocare, e hanno un comune interesse a preservare spazi sociali per la pratica religiosa. Tuttavia, sostengono ancora gli autori, cristiani, musulmani, ebrei e altri credenti sanno bene che “non esiste nulla di simile nella pratica alla ‘religiosità generale’ (…), e un pluralismo religioso neutrale della varietà multiculturalista può essere solamente un’espressione del secolarismo”. L’Europa è diversa dagli Stati Uniti, dove può esistere una ‘religiosità generale’ in forma di religione civile che va al di là delle specifiche fedi e tradizioni. L’Europa, come civitas cristiana, è caratterizzata da una variante di universalismo che evita sia il relativismo morale che l’assolutismo politico, guarda alla centralità di uno spazio libero e condiviso per la pratica religiosa e non solo religiosa costituito da una ‘corporazione di corporazioni’ che precede lo Stato e il mercato, si fonda su vincoli sociali pre-contrattuali più fondamentali e di quelli giuridici formali e di quelli economico-contrattuali. È la specificità del cristianesimo a fondare un simile spazio. La città cristiana, di conseguenza, può ancora oggi garantire libertà religiosa in forme e misure che nessun altro sistema politico-culturale è capace di fare. C’è un unico però: dato quanto detto, dato che la città cristiana è pluralista in quanto cristiana (in questa ottica), “è chiaro che la civitas cristiana può richiedere solo il rispetto generale per la ‘sacralità’ delle altre comunità religiose nella misura in cui esse si avvicinano al senso di sacralità proprio del cristianesimo (o non sono incompatibili con esso)”. Nella civitas cristiana il cristianesimo perimetra lo spazio di possibilità consentite alle religioni ‘ospiti’, per così dire, in un rapporto che per ragioni storiche viene pensato di concessione di spazi di libertà sul proprio suolo in nome di una comune riconoscibile grammatica religiosa e in nome di una comune avversione ad una secolarizzazione percepita come aggressiva e distruttiva. Un cristianesimo conservatore, quello dei due autori (John Milbank è fondatore del movimento della Radical Orthodoxy e autore di libri noti anche in teoria sociale), che mentre fa mostra verso gli altri credenti di genuina capacità di capire bene cosa sia per loro fede e religione (al contrario della cecità relativista e dei liberali e dei pluralisti post-secolari) ribadisce un risentito diritto di precedenza, priorità, controllo e gestione del traffico di cose sacre, in Europa, da parte del cristianesimo. Tutta da discutere la tesi relativa all’Europa come civitas cristiana, tutta da discutere l’interpretazione del post-secolare e della stessa secolarizzazione offerta dagli autori, molto il rammarico per un conservatorismo che mostra il suo lato peggiore: risentito e arcigno.
Risentito e arcigno è anche il commento di Roger Scruton sulle dimissioni di Benedetto XVI, in una intervista pubblicata da Il Foglio Mercoledì 20. Per Scruton, troppo noto per dover essere presentato, le dimissioni del Papa sono il segno di una “cristianità che è stata intimidita”, di una “cultura del ripudio”, di un “odio di sé” da parte dell’Occidente: se neanche un grande Pontefice come Benedetto XVI, un “intellettuale che ha riformulato le verità eterne della chiesa cattolica per il mondo moderno”, che ha “fermato la distruzione della liturgia iniziata con il Concilio Vaticano II”, e che ha “portato il confronto fra islam e cristianesimo a livelli nuovi e senza precedenti”, ha potuto mettere la Chiesa al riparo dagli “attacchi subiti in Europa dai laici militanti, dalla lobby Gay, dalla propaganda sulla pedofilia, dall’Unione Europea, dagli intellettuali benpensanti”, allora è proprio segno che il secolarismo totalitario è prossimo alla vittoria, e il mondo alla catastrofe.
Il sogno della città secolare è tramontato da un po’, mostrando anche i suoi limiti e ombre, ed è durato anche meno di quello della città cristiana, anch’esso un sogno piuttosto agitato bisogna dire; il ‘sogno’ di una città postsecolare, per essere coltivato, avrebbe bisogno di un cristianesimo, anche conservatore, meno risentito, meno arcigno e meno arrogante di così.