Sappiamo da anni dell’uso di armi chimiche, abbiamo da anni testimonianze di sevizie, torture, certificazioni dai più alti simposi mondiali di magistrati che attestano i crimini contro l’umanità perpetrati contro decine di migliaia di detenuti nelle carceri di Assad. Lo sappiamo tutti, individualmente, per documenti scritti, per immagini trasmesse e denunce circostanziate. E tutto questo dovrebbe bastare e avanzare. Ore le immagini declassificate dal Pentagono non consentono di stabilire per certo che le modifiche apportate a un edificio del lager di Saydnaya, non distante da Damasco, siano state fatte per costruire un crematorio per far sparire migliaia di corpi nel corso degli ultimi anni. “Mai più?” Quell’immagine della neve sciolta proprio sul tetto di quell’edificio, a differenza degli altri edifici circostanti e tutti innevati, sembra proprio confermare. E sapere quanto il gerarca nazista Aloise Brunner sia stato attivo nei saloni di chi pianifica le strategie per la sicurezza a Damasco dovrebbe far venire i brividi. Ma non lo sapevamo già?
Il brivido infatti è tanto antico quanto confermato da un fatto recente: i libri sulle sevizie damascene sono in tutto il mondo da ben prima della rivoluzione siriana, ma adesso fonti ormai infinite e convergenti parlano di un mattatoio Saydanaya, 50 esecuzioni o giù di lì al giorno. Ne ha parlato per prima Amnesty International, in un rapporto che non fa che circostanziare quanto asserito dai consulenti giuridici dell’Onu, tra i quali la signora Del Ponte: in quello come in altre lager sono stati commessi crimini contro l’umanità.
L’incredibile silenzio che ha circondato per anni la macchina della morte siriana è stato rotto, per quanto attiene alle sue ultime aberrazioni, dall’amministrazione Trump. Per calcolo? Può essere. Visto che è stato chiesto a Mosca di assumersi le proprie responsabilità e visto che il Russia-Gate è ancora lì, il sospetto è legittimo. Ciò non sposta di un millimetro la realtà siriana, per chi vive e per chi muore da decenni in Siria, e per chi dalle conseguenze di quel conflitto sente dal 2011 in pericolo la propria anima.
Resta il fatto che il silenzio è stato rotto dall’amministrazione Usa. Possiamo dunque sperare che gli alleati del male minore, cioè di Assad definito “male minore” rispetto all’Isis, chiederanno a Damasco di aprire domani stesso le porte di Saydanaya agli ispettori dell’Onu, che chiederanno a Damasco di farci vedere al di là di ogni legittimo dubbio come si vive e come si muore a Saydanaya, le sale di tortura, il numero di prigionieri che devono vivere e dormire nello stesso sgabuzzino, il cibo che viene loro somministrato, i pali ai quali vengono appesi? La Siria, ricordiamocelo, ha firmato la convenzione internazionale sui diritti dei detenuti.
Possiamo sperare che l’inviato dell’Onu, che ancora poche ore fa definiva l’intesa a portata di mano, dica che la prima intesa da raggiungere riguarda l’accesso immediato a Saydnaya degli ispettori, senza limitazioni di sorta?
Difficile non dirsi che tutto questo appaia tanto indispensabile quanto complesso, visto che non è mai accaduto. Dobbiamo arrivare a temere che sotto i loro riflettori ci finisca l’amministrazione Trump, per le sue incongruenze, o per le condotte americane del passato, magari per la solita foto di Colin Powell con l’antrace di Saddam all’Onu?
I morti gassati della Ghouta, i morti gassati di Idlib, i morti anche per gas di cloro di Aleppo est, i morti di Qusayr, i morti di Daraa, i morti di Homs, i morti di Hama e tantissimi altri morti, altri torturati, altri seviziati, sono stati cancellati anche con l’uso di quella fotografia e dei ragionamenti che ad essa si sono connessi. Si può sperare che davanti alla domanda “non si era detto mai più?” qualcosa possa cambiare? Si può accettare di negoziare la pace mentre la Siria rimane un mattatoio a porte chiuse e sotto la regia degli alleati di Assad?
Forse l’inviato dell’Onu non credeva che migliaia di detenuti siano stati seviziati e poi assassinati, e che qualcosa come 50 detenuti vengano giustiziati ogni giorno nei lager di Assad. Forse non immaginava possibili forni crematori… Ma ora?
Non leggo ancora i molti commenti che certamente evidenzieranno come tutto questo costituisca il più potente propellente per ogni tipo di terrorismo. Sarebbe però importante leggerne presto altri, quelli capaci di rispondere a questa domanda: “quale ricordo avremo di noi, quando accerteremo la verità siriana”?