In due articoli pubblicati su Repubblica in data 27 gennaio e 6 febbraio, lo studioso francese Christian Salmon affronta il discorso sulla vicenda di Charlie Hebdo da punti di vista originali e un po’ marginali rispetto alla maggior parte delle discussioni delle ultime settimane.
Nel secondo, dedicato a una riflessione sulla libertà di parola, ricorda i numerosi duri interventi repressivi di parte cristiana, e non solo, sul caso famoso del film di Scorsese, L’ultima tentazione di Cristo, ma anche su quello dei Versetti satanici di Salman Rushdie, sottolinea tra l’altro che nel Medioevo la religione si mostrò di gran lunga più tollerante verso le parodie e le feste carnevalesche rispetto a periodi successivi. La sua tesi di fondo è che La censura rivolta contro gli artigiani dell’immaginario, siano essi disegnatori, scrittori, cineasti, pittori o scultori, non punisce un reato d’opinione (per cui la loro difesa non rientra nella difesa della libertà d’espressione, brandita come un feticcio) ma contro la fiction in quanto tale, il diritto alla letteratura, all’umorismo, alla metamorfosi … E proietta su scala mondiale, attraverso mille distorsioni, confusioni e malintesi, la nuova guerra per il monopolio della narrazione che ha preso possesso del pianeta. Tesi interessante che in qualche misura è sottesa anche al primo articolo che si concentra invece sulla grande manifestazione parigina dell’11 gennaio.
L’effetto paradossale è stato a suo parere di trasformare l’irriverenza in oggetto di adorazione e l’impertinenza in obbligo, di avere sacralizzato il disegno satirico, contemporaneamente alla approvazione di misure di carattere repressivo come i controlli di polizia e forme di sorveglianza sulla rete. Il disegno complessivo sarebbe quello che nel marketing viene definito rebranding, il tentativo cioè di dare nuova vita a un marchio invecchiato, attraverso il recupero di una narrazione di sé, in questo caso da parte della Repubblica francese, che come molte narrazioni ricorre alla seducente figura dell’ossimoro capace di tenere insieme ideali apparentemente contrapposti come destra e sinistra, pacifismo e militarismo, legge e trasgressione. In quella manifestazione, secondo Salmon, c’era un’aria da funerale, e non solo per i morti che si ricordavano, ma anche perché la storia si ripeteva, ma non come tragedia o farsa, bensì sotto forma di uno spettro: quello del Maggio ‘68 di cui Charlie Hebdo ha prolungato al di là di ogni ragionevolezza, la difesa e la rappresentazione.
Ho trovato affascinante questa interpretazione e, malgrado la malinconia inevitabile nel ricordare i lontani anni giovanili, mi è parsa consolante. Come tutti i movimenti con una forte componente salvifica, anche il ‘68 aveva l’ambizione di narrare il mondo, e soprattutto il suo futuro, in modo lineare, coerente, a volte scientifico, a volte immaginifico. Non era ironico, non sorrideva quasi mai del mondo e della storia; in Italia in particolare ereditava il grigiore della sinistra comunista e la fatica paramodernista della sinistra democristiana, nulla o quasi della flebile tradizione laica che pochissimo aveva inciso sulla nostra storia nazionale, dopo la rapida stagione del Partito d’Azione e di Giustizia e Libertà, di cui qualche traccia rimase solo nel Partito Radicale che, non per caso, fu determinante nel trionfo del referendum sul divorzio che nella memoria è rimasto come uno dei grandi risultati anche del cosiddetto Sessantotto.
In Italia né PCI né DC né sessantottini sorridevano con qualche soddisfazione di se stessi, graffiavano e colpivano solo le contraddizioni del nemico, come l’indimenticato Mario Melloni, prima democristiano, poi comunista e infine insuperabile corsivista con lo pseudonimo di Fortebraccio. Tutti pensavano di sapere e i sessantottini a maggior ragione, perché ritenevano di collocarsi fuori del sistema, come dovrebbero ragionevolmente andare le cose del mondo; quando arrivò la dissacrante risata che tutto avrebbe dovuto seppellire, era ormai il ‘77 e quella risata era distruttiva e in gran parte rivolta proprio contro il serioso ‘68. E poi fu via Caetani.
Non conosco la specifica situazione francese, ma so che in italia il ‘68 è durato troppo, ha prodotto troppi uomini politici di destra e di sinistra, troppi direttori di giornali di destra e di sinistra, troppi professionisti della comunicazione. Se ha ragione Salmon e la manifestazione parigina ha chiuso con lo spirito del ‘68, è stata piena di contraddizioni – ossimorica, per usare le sue parole – è una buona notizia, perché solo una manifestazione ossimorica può aderire alla realtà del mondo degli uomini, in quanto è proprio quella realtà a essere ossimorica.
L'ASINO DI BURIDANO
Il fine naturalmente fa parte della nostra coscienza utopica, e non utipistica, a cui non dobbiamo rinunciare, e cioè rendere più sano quest’atomo opaco del male, o almeno meno ammalato. Ad esempio evitiamo di intervenire in una guerra o di dire che le operazioni di peacekeeping sono azioni di pace … i risultati devastanti li abbiamo già visti, non si è esportata la cosiddetta democrazia da nessuna parte. E poi, mi chiedo, chi vende e fornisce le armi all’Isis? Le politiche sono sempre concrete, reali, verificabili. E questo non è un delirio pacifista, se persino il Papa parla di economia criminale e di politiche criminali.
Personalmente penso debba essere inevitabilmente ossimorica anche la legge morale, altrimenti diventa il dover essere di un mondo che non si lascia catturare dai principi assoluti e immutabili. In quello che sta accadendo in questo periodo non vedo alcun processo di mercificazione in ciò che è stato definito rebranding: si tratta solo di riuscire a presentare in modo nuovo qualcosa che viene fatto oggetto di attacchi e tentativi di distruzione. Credo sia impossibile essere dalla parte di tutte le vittime, proprio perché il mondo è contraddittorio e probabilmente potremmo considerare vittime anche gli assassini di Charlie, emarginati, disadattati, infelici. Eppure, in questo caso, e per motivi sicuramente discutibili, non riesco a considerarli come fine.
La realtà del mondo degli uomini è ossimorica perché è ossimorica la struttura della nostra personalità (M.Manica), dei nostri sentimenti, delle nostre emozioni, delle nostre percezioni, ma è ossimorica anche la legge morale? Non dobbiamo pensare agli altri sempre come a un fine e a soggetti e mai come ad un mezzo e a oggetti? e allora non c’è un processo di mercificazione in questo fare marketing o rebranding delle vittime? Io non sono Charlie perchè non sono una vittima ma sono dalla parte di tutte le vittime, quelle visibili e quelle invisibili, e contro ogni forma di terrorismo, anche quello della propaganda e della mistificazione, contro la xenofobia e il razzismo che ammorbano anche i nostri cieli.