LA BELLA CONFUSIONE

Oscar Iarussi

Giornalista e saggista.

C’era una volta «Lamerica». Addio, Puglia di frontiera

Se c’è un’immagine sintetica ed espressiva della Puglia negli ultimi quattro o cinque lustri, essa è senza dubbio quella della regione di frontiera. Innescata dagli sbarchi albanesi del 1991 – al culmine nell’approdo della nave «Vlora» nel porto di Bari, un’icona dell’exodus novecentesco – la dimensione frontaliera resa evidente dall’emigrazione clandestina fu un trauma che non tardò a essere elaborato in positivo, equivalse a uno choc provvidenziale, offrì un’occasione storica per affrancarsi da un meridionalismo glorioso, ma spesso vittimistico e inefficace. Non furono di poco conto, infatti, la percezione e quindi la consapevolezza della Puglia come una delle linee di confine geopolitiche nel mondo globale e reticolare, una terra fremente dell’incessante movimento di uomini e merci sprigionato dal crollo del Muro di Berlino. In particolare, cambiò radicalmente il punto di vista: era strabico e fallace continuare a ritenere che la stella polare dello sviluppo coincidesse sempre e soltanto con il Nord, con un’Italia settentrionale che in quegli anni si serrava nella agorafobia politica e negli arcaici riti «padani» della Lega.
«Scombussolata» o, se volete, «disorientata» rispetto alla tradizione della «porta d’Oriente», la Puglia si accorse di essere diventata invece l’ultima spiaggia occidentale (o la prima) per centinaia di migliaia di persone in fuga dalle rovine economico-morali del comunismo. Mondo ex fu la felice definizione che lo scrittore Predrag Matvejevic adottò per il disgregarsi degli stati nazione non solo nei «suoi» Balcani. Ebbene, il «tempo del dopo» in Puglia trovava l’opportunità di un ricominciamento: una terra promessa, una nuova America, anzi Lamerica, per dirla col titolo di un prezioso film di Gianni Amelio (1994).

In questi ultimi vent’anni le visioni della Puglia di frontiera si sono nutrite di contributi  laici e cattolici, di saperi e di arti tesi – oltretutto – a sprovincializzare l’inedito protagonismo regionale, giacché  metaforico di una condizione ben più larga, appunto, dell’ombra del campanile (sebbene non sempre vi siano riusciti). Come non ricordare, nei giorni del ventennale della morte, l’apporto di don Tonino Bello? Per il vescovo salentino l’idea della Puglia finis terrae s’incarna nel pacifismo operoso in ogni dove e nell’incontro con l’«altro», che davvero ricordano lo sguardo venuto dalla «fine del mondo» del papa Francesco. «Se noi non poggiamo la nostra vita sugli altri – diceva don Tonino – la facciamo cadere. L’unica condizione perché ci si mantenga in piedi è che il baricentro esca fuori di noi, che ci sia questo sbilanciamento».

Inoltre, lungo gli anni Novanta e nei primi anni Zero, in Puglia nacquero il «pensiero meridiano» del sociologo Franco Cassano, una serie di apporti originali in ambito culturale ed economico propiziati da un rinverdimento dell’impegno locale e non localistico di Casa Laterza (e di altri editori non solo pugliesi, da Donzelli a Dedalo), e talune forme di cittadinanza attiva precoci rispetto ai «girotondi» anti-berlusconiani di Nanni Moretti. E v’è stato un inedito fiorire della letteratura, del cinema e della musica, pregni di umori, suggestioni, idee mediterranei e frontalieri.

Sono esperienze per cui in Puglia a taluni parve addirittura lì lì per realizzarsi una variante della leggendaria «immaginazione al potere» invocata dai sessantottini parigini, nella stagione seguita alle prime vittorie elettorali del centro-sinistra di Michele Emiliano, due volte sindaco di Bari (2004 e 2009), e di Nichi Vendola, due volte presidente della Regione (2005 e 2010). La cosiddetta «primavera pugliese», nei promettenti anni d’esordio, irrompe su una scena regionale storicamente cauta e moderata, salvo l’infatuazione craxiana del capoluogo presaga di certi fatui decisionismi a venire. L’affermarsi di un nuovo ceto politico corrisponde in realtà alla sua capacità di istituzionalizzare la brama ardente delle storie di frontiera.

La Puglia in cui forse il genio di Ennio Flaiano si sarebbe specchiato, perché come lui «con i piedi fortemente poggiati sulle nuvole», ha sognato e fatto sognare. E ha realizzato dei progressi innegabili, del resto incorniciati negli ultimi due-tre anni da una sorta di «alleanza» strisciante fra centro-sinistra e centro-destra regionali, parimenti interessati a difendersi dagli eccessi di rigore del governo centrale e a farsi valere nella partita cruciale dei fondi europei.

Ma oggi tutto ciò è ancora in corso? Lo scenario resta valido o è mutato? Senza che gli osservatori (gli intellettuali, i politici, l’opinione pubblica stessa) se ne accorgessero, oppure accorgendosene senza dirlo per viltà, ignavia, connivenza, siamo da tempo in un’altra stagione. Stavolta è la politica a offrire segnali che suonano come conferme: i recenti risultati elettorali pugliesi, certo, sfavorevoli a chi ha governato dal 2004-2005 in avanti; e la scelta simbolica di Bari per l’ultimo comizio di Silvio Berlusconi, che il sindaco Emiliano ha tentato probabilmente di esorcizzare col suo discusso striscione di benvenuto al Cavaliere. Né ha molto senso, riteniamo, meditare interventi di restauro della «primavera pugliese» o vagheggiarne una paradossale restaurazione. Non risulta interessante – nel quadro che ci preme di più: l’identità del Sud – scrutare le imperscrutabili contingenze del ceto politico, il destino dei suoi personaggi e le relazioni fra loro. Intanto la Puglia che fu del cinema di frontiera degli Amelio, Olmi, Winspeare oggi sembra paga di se stessa. Le sue bellezze paesaggistiche fanno da sfondo, in questi giorni su Canale 5, ad alcune puntate della saga infinita di Beautiful, girate tra Polignano a Mare e Alberobello. Perfette locations, per carità, che è legittimo valorizzare. Ma eravamo partiti dalla «Vlora» e siamo arrivati ai matrimoni vip in masseria. C’era una volta Lamerica, qualcosa è cambiato. Vogliamo dircelo?

Articolo apparso sulla «Gazzetta del Mezzogiorno» del 17 aprile 2013

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