Ogni anno mi stupisco: anche chi, come me, lavora da anni su se stesso e sui propri desideri per convincersi che la vita, come la storia, se ha un senso, posto che si riesca a trovarlo, lo ha solo relativamente al nostro stretto orizzonte di vita e di conoscenza, tuttavia non riesce mai del tutto a sottrarsi al fascino del Natale.
Certamente conta anche il ricordo di quando aprivo gli occhi il 25 dicembre, guardavo sul tavolo e vedevo i doni. Certamente conta anche quella meravigliosa complicità che qualche anno dopo mi portava a recitare una finta meraviglia di fronte a regali che già avevo visto, da quando avevo scoperto dove venivano nascosti dai miei genitori. Era un regalo reciproco e non ho mai voluto sapere se loro avevano capito.
Ma non mi ha mai convinto l’ipotesi che si tratti solo di una questione psicologica.
Certamente conta anche la lunga tradizione che dalla notte dei tempi sembra aver sempre considerato un passaggio significativo quello rappresentato dal solstizio di inverno. Dà sicuramente da pensare che decine di dei, precedenti al cristianesimo, venissero festeggiati in questo periodo, quando si celebrava ad esempio la rinascita di Dioniso bambino, dopo che era stato fatto a pezzi dalla furia delle donne selvagge.
Ma non mi ha mai convinto neppure l’ipotesi che si tratti solo di una lunga tradizione che arriva da Babilonia, dall’Egitto, da Atene e da Roma.
C’è qualcosa di più, quel qualcosa che Agostino riassume in un modo insuperabile, quando racconta dei suoi pensieri di fronte ai testi neoplatonici che a Milano ha l’opportunità di leggere:
Vi trovai scritto, se non con le stesse parole, con senso assolutamente uguale e col sostegno di molte e svariate ragioni, che al principio era il Verbo e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio; … Che però egli venne a casa sua senza che i suoi lo accogliessero, ma a quanti lo accolsero diede il potere di divenire figli di Dio, poiché credettero nel suo nome, non trovai scritto in quei libri. (Confessioni 7.9.13)
Credo che il punto sia questo: con quella nascita straordinaria che viene ricordata ogni 25 dicembre, il senso – quello che probabilmente il cristianesimo definisce salvezza – entra nella storia, nella nostra storia e dice che esiste una direzione della nostra breve esistenza, una direzione condivisa da tutti. E’ la linearità del tempo che, malgrado tutto, affascina e commuove. Quel Logos in cui l’antichità classica aveva collocato il Bello, il Giusto, il Vero e – forse – il Significato, si compromette direttamente con la nostra confusa esperienza e insegna che il futuro non può più essere una ripetizione del passato.
Anche chi non crede nella esistenza del senso, è proprio con quella idea che si ritrova ogni volta a fare i conti; anche chi tenta di sostituire quella narrazione con una narrazione diversa – come Marx, Nietzsche o Freud – mantiene comunque l’idea di una direzione, di un progresso, a volte persino di una salvezza.
Così si spiega, almeno in parte, quello straordinario e paradossale senso dell’ordine che i pensatori medievali – che queste cose ci hanno trasmesso – trovano in un mondo che osservano stando al freddo, al buio, con i topi che corrono sui piedi, sempre sotto l’incubo della malattia e della morte.
Si tratta sicuramente di uno dei sogni più grandi dell’umanità, uno di quei sogni che ti entrano dentro e che ci restano, qualunque sia l’atteggiamento che si tenti di assumere.
Ma l’astuzia della ragione rende ancora più affascinante questo periodo, perché colloca, esattamente una settimana dopo, il primo dell’anno nuovo, proponendo in questo caso la concezione ciclica del tempo, di qualcosa che si ripresenta periodicamente sempre uguale a se stesso, per cui ci sentiamo in dovere di festeggiare mangiando sempre le stesse cose, possibilmente con le stesse persone.
In una settimana si condensa gran parte della storia occidentale e non si può negare che quel senso di calore che viene comunque trasmesso dal 25 dicembre non è paragonabile al senso di freddo che si prova il primo di gennario quando ci si affaccia alla finestra e ci si accorge che non è successo niente.
Inutile dunque cercare di fare i cinici o gli scettici: tanti auguri per un buon Natale e un felice anno nuovo.
Singolare questo augurio, e affascinante. Io, da musicista perché la mia presenza in ME è stata da meteora in catapulta, aggiungo solo che basta il Te Deum di un pettirosso per riassumere la solennità del momento …
Qualche riflessione …
Condivido pienamente il lavoro su se stessi e sui propri desideri, con la fiducia che serva a vivere e a trovare la bontà e la bellezza del vivere, proprio attraverso la ricerca costante che conduce a tracciare un ordine, sempre rinnovantesi, degli elementi sia della vita sia della storia.
L’ordine è sempre situato nel soggetto della ricerca, che a sua volta si colloca in un contesto specifico storico e locale legato alle diverse sfere – famiglia, ambiente di studio o di lavoro – e alle persone o esperienze con cui entra in relazione.
Nel punto d’incontro intersoggettivo ecco stagliarsi uno spazio e un tempo comune di esperienze condivise, o di convergenza di tradizioni, a volte meravigliosa e significativa come quella tra il divino e l’umano nella figura del Cristo nel pensiero agostiniano, convergenza fra le tradizioni neoplatonica e cristiana.
Ecco la nuova nascita accadere a ogni Natale; essa indica appunto il senso condiviso, ma come è possibile che si apra una breccia nella ciclicità temporale? cosa permette di sottolineare la “non ripetitività dell’esistenza”, cos’è quel Logos che apre il futuro a nuove possibilità, che insegna che il futuro non può più essere una ripetizione del passato?
Probabilmente è la razionalità, la libertà della scelta umana che non si lascia prendere dal ciclo degli eventi, ma, con atteggiamento critico, interviene in un modo creativo di senso nella materia resistente della natura, della storia, della vita, orientando così la propria azione nei propri contesti al bello, al vero, al bene, al giusto, nella fiducia di poter contribuire almeno in minima parte a rendere il mondo migliore.
Un caro saluto
amalia
Caro professore, che bella compagnia! Ringrazio per questo pensiero e saluto chi ha commentato. Io non sono filosofa come voi, mi piacciono le figure. Natale per me è il pensiero del bambino, di un bambino che arriva e cambia le regole, come ogni bambino che ad ascoltarlo avrebbe da dire una sua visione delle cose, lentamente e inesorabilmente riportata al noto.
Poi mi piace quel pensiero del Natale, che si dice in qualche parte nelle scritture, come momento di comunicazione possibile e di empatia dell’universo fra alberi, pecore, asini e umani. La capiscono tutti la magia di una nascita, di una promessa di futuro, ma anche ci rimette al nostro posto: un puntino come una stella minuscola in un universo gigantesco. che però è viva e brilla, qualunque sia il suo stato. E questo a me pare davvero santo e magico. Un abbraccio
rossana
Buone feste anche a te e a tutti! bello vedere un filosofo che riscopre la conoscenza estetica e si fa bambinone 🙂 Ma hai ragione, tra il 25 dicembre e il 6 gennaio si condensa una discreta parte della storia dell’umanità (del bacino del Mediterraneo, ovviamente – gli altri, chissà: saranno nella storia della salvezza? avranno un’anima? insomma, di Gog e Magog che ne facciamo?), sono le magiche 12 notti. E ai bambini non puoi raccontare che il 25 dicembre si celebra il Sole, e poi il numen di un imperatore militare e pure pagano, e via studiando – o che il 1° gennaio ricompaiono i morti ad aiutare i vivi, che ancora patiscono tutte le fatiche del vivere. Ha ragione Maria Teresa: lo straordinario è che gli uomini siano costretti a inseguire un “paradossale senso dell’ordine” perché altrimenti non danno senso a se stessi (senza accento sulla “e”: non mi è mai piaciuta questa novità dell’editing). Insomma, come scrisse Majakovski turbato, turbatissimo, dal suicidio di Esenin: “morire non è nuovo sotto il sole, vivere di gran lunga è più difficile”, e la vita non è mai solo un’abitudine… tant’è che poi si sparò in testa Allora, se le feste (per chi ne avverte il fascino e la portata estetica, insisto su questo) possono servire per far tirare il fiato, ben vengano! Eppure non possiamo nasconderci che se mangiamo sempre le stesse cose non lo facciamo sempre con le stesse persone: la ripetitività del ciclo sottolinea la non ripetibilità dell’esistenza. A parte le sofisticazioni alimentari e i cambiamenti nelle normative europee, insomma, le cose avranno lo stesso sapore quando saranno le stesse senza di noi… Lasciando perdere la contiguità nascita/morte (la lascio ai filosofi “professionisti”), non sarebbe meglio raccontare ai bambini la favola del Sole piuttosto che mettergli in testa che un Dio ha tentato di rendere umana l’umanità e pur sacrificando se stesso non c’è riuscito? o pedagogicamente questo fa bene, perché aiuta a prendere atto del fatto che “sarebbe bello che tutto fosse bello, peccato che non lo sia…”? Comunque sia, siamo qui, ci siamo ancora, e allora AUGURI!!!
Buon Natale Massimo, di cuore, diciamo che sono più di trent’anni che te lo auguro sperando che tu sia un po’ meno “scettico e cinico” per qualche giorno … Meraviglioso che tu quest’anno te ne accorga “pubblicamente” proprio ragionando sul nostro medioevo (il ME degli altri). Quanto “al freddo, al buio, i topi che corrono sui piedi, sempre sotto l’incubo della malattia e della morte”, dai, ricordati, tornando al nostro mestiere, che è nostro compito o compitino di dire che tutta questa roba c’era prima e c’è dopo e che gli uomini qui e altrove inseguono sempre, per fortuna, il “paradossale senso dell’ordine”. E questo sì che è straordinario, per tutti i santi giorni dell’anno.