È il segno dei tempi: il Festival del giornalismo di Perugia chiude i battenti. Nomina sunt consequentia rerum. «Problemi di budget». Pausa di riflessione. Aspettando tempi migliori. Del resto, chiudono anche i giornali, perché non dovrebbe pure il Festival, che ne è l’espressione? Anche se non esclusiva… E in ogni caso quando non chiudono, riducono l’organico, la foliazione, la tiratura, la distribuzione. Tutto si tiene. Questione di budget, appunto.
Del resto crolla la pubblicità, che – anche se non lo abbiamo mai voluto ammettere veramente – è stata, è e sempre sarà «l’anima del giornalismo». Forse la più profonda, bisogna riconoscere. Senza la réclame, gli spot, le inserzioni non si va da nessuna parte. Le copie, da sole, non bastano. È sempre stato così e lo è ancor più oggi che i lettori-acquirenti vengono meno in numero consistente.
L’impresa giornalistica costa. Costa fare informazione, che è poi la materia prima dell’impresa stessa. Costano le notizie. Costa trovarle, procurarsele. Costano, in particolare, le inchieste. E costa chi le dovrebbe fare, perché un’inchiesta vera quando la cominci non sai dove ti porta e quanto ci vuole per realizzarla: ci sono tempi d’attesa, tempi morti, viaggi a vuoto, che però se non li fai non saprai mai se sono stati utili e ti hanno portato a qualcosa. Tutti costi improduttivi, che però devi sostenere, se ci credi all’inchiesta che hai messo in cantiere. Anche se è vero che oggi «il lavoro non vale più niente», come ha dimostrato Marco Panara, e che è poi la vera malattia dell’Occidente come recita il titolo del libro.
Il Festival del giornalismo di Perugia chiude i battenti dopo sei felici edizioni, piene di successo e di utilità. Chiude in un momento in cui il giornalismo si trova in una fase di passaggio in cui i vecchi armesi come i giornali sono in declino e i nuovi strumenti legati all’era internet in piena fase di ascesa, vitali, ma non con un futuro di business non ancora certo. Ed è un paradosso, perché nel momento in cui il vecchio resiste al proprio declino con le unghie e con i denti cercando di spararsi le ultime cartucce come può, talvolta anche reinventandosi, mentre il nuovo avanza imperturbabile, sperimentando lo sperimentabile, tra rumori di fondo e in alcuni casi anche “sinistri” dove non mancano eccessi e casi limite, scontri ideologici e forti subalternità. Politiche, padronali, di schieramento. Più o meno a priori. O a prescindere.
In queste a queste pieghe c’è pure del buon giornalismo. Però la crisi è la crisi. E gioca brutti scherzi. A grandi e piccini. Nessuno ne è immune, perciò nessuno si salva.
Perché, in fondo, il commercio è morto, l’anima svenduta, la pubblicità svanita.