La settimana scorsa, nessuno sembra essersene accorto nella eccitazione causata dalla “fine del ventennio” legata all’uscita dal Senato di Silvio Berlusconi.
Eppure oggi, meno di una settimana dopo la decadenza, abbiamo rischiato di trovarci in una situazione davvero paradossale: la Corte Costituzionale doveva, infatti, pronunciarsi sull’ammissibilità del ricorso che punta a far dichiarare non costituzionali (dunque nulli) alcune previsioni di una legge elettorale così inadeguata da essere stata ribattezzata “porcellum” dal suo stesso estensore. Il pericolo è, però, solo rinviato perché la Corte tornerà a riunirsi il 14 Gennaio per decidere e quella è, ormai, la data limite prima che scatti una sorta di auto dichiarazione di fallimento da parte di un intero sistema istituzionale.
È l’effetto clamoroso dell’incapacità delle larghe intese di conseguire quelli che erano i due obiettivi più immediati di quella formula: riformare la legge elettorale, laddove il Presidente della Repubblica aveva più volte dichiarato che lui mai avrebbe permesso di tornare a votare con quella attuale; pacificare il Paese che per il secondo maggiore azionista di quel Governo, Berlusconi, significava, sostanzialmente, scampare ai guai giudiziari che erano ampiamente prevedibili al momento della formazione dell’esecutivo.
Fatto sta che proprio un mese dopo l’uscita (tecnicamente definitiva) dal Parlamento di Berlusconi, rischia di verificarsi l’evento – un Parlamento che si fa anticipare dalla Corte Suprema sul giudizio sulla legge elettorale – che il Presidente della Repubblica voleva evitare.
E siccome le possibilità che la Corte ammetta il ricorso sono elevate, il risultato può essere davvero comico se non fosse prim’ancora tragico: visto che, come dice lo stesso Quagliariello, Ministro delle Riforme Costituzionali del Governo Letta, un Parlamento eletto con una legge elettorale non costituzionale, è un Parlamento, per certi versi, illegittimo (per la verità, in questa maniera, lo sarebbero anche i due precedenti eletti nel 2006 e nel 2008), il “decaduto” Berlusconi potrebbe dichiarare (persino con qualche ragione) “decaduto” il Parlamento dal quale è stato appena espulso.
È evidente che il ragionamento è solo teorico. Tuttavia, il caos istituzionale è possibile. La figuraccia di un Parlamento nel quale del resto non siedono i leader delle tre maggiori forze politiche del Paese è assicurata, e l’ira del Presidente della Repubblica pure.
Mettere subito in sicurezza la legge elettorale, dunque. E – considerando che non ci sono più i numeri per complesse riforme istituzionali (che richiedono maggioranze qualificate) – sganciare il tema della legge elettorale da quello del ridisegno (assai più complesso) delle forme dello Stato. Farlo subito, tornando, magari, al mattarellum abrogando – anche con un decreto legge del Governo – il porcellum. Tornare alla legge elettorale precedente, dunque, diventa l’ipotesi più semplice, più giusta (fare una legge elettorale completamente nuova richiederebbe, comunque, un qualche accordo tra i competitori sulle regole), persino più fattibile (l’intero PD sarebbe d’accordo).
L’alternativa sarebbe un vulnus (questo sì sostanziale) alla democrazia. Il rafforzamento della sensazione che la permanenza di una legge elettorale senza sostenitori è stato solo un pretesto per evitare lo scioglimento delle camere. E ciò non potrebbe non provocare un ulteriore allontanamento delle persone dalla politica rispetto ad una situazione nella quale il partito dell’astensione rischia di diventare un vero tsunami.
È nell’interesse di Enrico Letta rinunciare a quella che sembra sempre di più una “foglia di fico” e sfidare l’intero parlamento a conquistarsi il diritto a sopravvivere avviando una stagione di riforme che non possono più aspettare.