Quel sabato, a Brescia, in Piazza del Duomo (in realtà si chiama Piazza Paolo VI) io c’ero, per il semplice motivo che la mia casa di famiglia è a poche centinaia di metri da quella piazza. Vorrei portare, perciò, testimonianza diretta di quanto ho visto e sentito, perché questa vicenda è stata certamente oggetto di molta disinformazione. Preciso che mi riferisco solo a ciò che ho visto direttamente nella piazza e non anche alle piccole scaramucce che dicono siano avvenute nei vicoli e nelle strade d’accesso e di deflusso.
Quando seppi che la manifestazione era programmata in Piazza Paolo VI fui meravigliato e dispiaciuto. Non solo perché mi feriva che nella nostra bella ed elegante piazza, di fronte al maestoso Duomo nuovo ed a quel tesoro medioevale che è il Duomo vecchio, tra lo scenario delle eleganti case di stampo veneziano, si tenesse una manifestazione politica che, per l’argomento e per il protagonista, si preannunciava grossolana e suscitatrice, se non ricercatrice di violenza, ma perché questa piazza non è adatta per questo tipo di manifestazioni. Troppo grande, con troppe vie d’accesso e di deflusso e quindi difficile da controllare, suddivisa in tre parti da due eleganti fontane. Degli “insider” mi dicono che Berlusconi si sia, poi, arrabbiato con gli organizzatori locali per questa scelta. Se lo ha fatto, aveva ragione, ma questa è solo un’ennesima riprova della incompetenza ed inconsistenza di chi governa la città, che è il gruppo di amministratori bresciani peggiore a mia memoria, cioè dagli anni ’50 del secolo scorso. Il mastodontico e magniloquente palco era posto più o meno a metà della piazza. Sotto il palco vi era un nutrito gruppo di sostenitori, convogliati da tutto il Nord, poche migliaia, sbandieranti, in fondo un piccolo drappello rispetto alle dimensioni della piazza ed alla dichiarata importanza della manifestazione. Dopo i sostenitori che occupavano circa un quarto della piazza, ben divisi e contenuti da una compatta linea di forze dell’ordine, era radunato il gruppo degli oppositori, in numero non molto inferiore, prevalentemente giovani. Anch’essi sventolavano bandiere in numero molto inferiore e cartelli, alcuni divertenti come quello che diceva: “ Hai le orge contate”. Fischiavano, urlavano, ma io non ho visto alcuna violenza od intemperanza. La violenza veniva giù diretta dalle parole del triste vecchio sul palco che seminava veleno per motivi essenzialmente personali.
I telegiornali del giorno dopo hanno trasmesso un’immagine completamente distorta di una piazza ricolma di sostenitori con, in un angolo, “quattro sfigati”, per usare l’espressione falsa di un ministro portaborse. Solo Sky 24 ha trasmesso un’immagine corretta della piazza. Gli oppositori non erano quattro, non erano sfigati, non erano violenti. Il Corriere della Sera di Brescia, nel fondo del suo direttore Tedeschi, ha scritto: “Una brutta pagina, da dimenticare in fretta”. Ho riflettuto a lungo su questo giudizio. E mi sono domandato perché una persona mite e aliena da manifestazioni di piazza, come me, aveva, invece, una reazione completamente diversa: una bella pagina, da ricordare. Se nella piazza ci fossero stati solo i sostenitori osannanti e sbandieranti, gli unici che hanno fatto vedere i telegiornali di regime, intorno al livido vecchio che veniva a portare in piazza le sue vicende giudiziarie, ad oltraggiare la magistratura, a seminare odio e violenza, quanto peggiore, quanto più triste, quanto più umiliante sarebbe stata la pagina bresciana di sabato 11 maggio 2013!
Quegli oppositori, quei giovani erano, per me, la testimonianza che Brescia, la ex leonessa d’Italia, non è completamente rincitrullita; che ci sono ancora spazi vivi; che la vecchia cara rude Brescia, quella delle Fiamme Verdi, del Ribelle di Teresio Olivelli, quella di Padre Giulio Bevilacqua che ai fascisti, negli anni ’20, disse: e sappiate che sono sempre pronto a pagare dove quando e come volete perché le idee valgono non per quello che rendono ma per quello che costano; del sindaco per sempre, il sindaco della ricostruzione, Ciro Boni, non è del tutto morta e sopravvive sotto la cenere.
Ma si dice: come puoi considerare democratica un’opposizione che disturba ed al limite cerca di impedire una manifestazione elettorale di un altro partito? Quella non era una manifestazione elettorale (questo era solo un pretesto), non era neanche una manifestazione politica dove si parlasse dei problemi dell’Italia o di Brescia quelli che interessano gli italiani ed i bresciani. Era una manifestazione personale, della Signoria, del ricco ed irridente Principe che veniva in piazza a cercare l’assoluzione per le sue malefatte, quella che non riusciva ad ottenere nelle aule dei tribunali, nonostante tutte le intimidazioni, le leggi ad personam, gli stuoli di avvocati e l’uso di tutti i possibili trucchi e stratagemmi; che veniva in piazza ad offendere e minacciare quel pezzo di Stato che è la magistratura, l’unico pezzo di Stato che, in realtà, resiste, con coraggio e tenacia, all’assalto micidiale e combinato della corruzione, della malavita organizzata e della mala politica; che, da venti anni, impedisce al Paese di affrontare seriamente i problemi (importanti e urgenti) di riforma e rafforzamento della magistratura; schiacciando il dibattito sui suoi problemi personali; che vuole vivere “legibus solutus”. Quei fischi dicevano: può darsi che le necessità politiche portino ad accordi di governo che aprono la strada per riportarti al potere; ma sappi che, almeno a Brescia, la ex leonessa d’Italia, ci sarà resistenza di popolo. La Signoria è comunque finita. A differenza di altri non mi sono indignato per la presenza del Ministro Alfano ad una manifestazione preannunciata come manifestazione di attacco alla magistratura, non solo perché, in verità, si è visto poco ma perché di lui ha già detto tutto il Sueddeutsche Zeitung che gli dedicò un lungo servizio, quando fu eletto segretario del PLI, nel quale, dopo aver analizzato il suo operato come Ministro di Grazia e Giustizia e avere dimostrato che tale operato era stato tutto ed esclusivamente diretto a soddisfare i bisogni di Berlusconi, lo definì: “Eine Marionette”.
Mi sono indignato piuttosto per il fatto che fosse possibile organizzare una manifestazione di piazza contro la magistratura, baluardo dello Stato di diritto e che nel corso di quella fosse possibile al vecchio Principe di paragonarsi ad Enzo Tortora. E’ stato come ricevere un pugno nello stomaco. Si tratta di situazioni che si collocano a differenza siderale, incomparabili, come ha detto l’allora avvocato di Tortora, Della Valle. Berlusconi ora cerca di mescolare le carte in tavola, polemizzando con le figlie di Tortora. Ma la verità è che lui ha detto: “io, come Tortora”, dando un’ennesima dimostrazione della sua vera natura che, in questi giorni , cerca di camuffare, per ragioni tattiche. Avrebbe potuto anche dire: io, come Paolo Baffi. Anche Baffi, come Tortora fu oggetto di uno sgangherato attacco da parte di due giudici (pm Luciano Infelisi e giudice istruttore Antonio Aliprandi), certo non toghe rosse, con mandato di comparizione per il Governatore della Banca d’Italia, Paolo Baffi, e mandato di cattura per il vice direttore della Banca d’Italia Mario Sarcinelli. Anche allora si parlò di scontro tra magistratura e potere politico. Ma ci fu chi scrisse (Massimo Riva): “La Banca d’Italia non deve temere la magistratura” e chi scrisse (Leo Valiani): “Non offuscare l’immagine della giustizia”. In realtà si trattava dell’uso strumentale di una giustizia succube di oscure manovre politiche. Ci fu una grande solidarietà nazionale ed internazionale ed i 61 economisti che firmarono un atto di solidarietà per Baffi e Sarcinelli furono convocati dal giudice istruttore Aliprandi per non precisati accertamenti e trattati in modo umiliante. Ma nessuno scese in piazza e Baffi visse sino in fondo e con dignità il suo calvario, portando dentro di sé, con infinita amarezza, quelle parole della comunicazione giudiziaria che più lo avevano colpito, quelle che lo accusavano di essere partecipe: “con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso”. Ma quando Baffi lasciò la sua carica, nell’ottobre 1979, 147 personalità, studiosi ed operatori pubblici e privati di economia e finanza di tutto il mondo, sottoscrissero una solenne dichiarazione di apprezzamento per lo straordinario contributo che Baffi aveva dato in 43 anni di “exceptional service” a tutto il mondo dell’economia per : “His integrity, dedication, perceptivness and understanding”, offrendo un eccezionale esempio, “che è stato ed a lungo sarà ammirato” di generoso servizio pubblico.
E quando, nel 1984, il Sostituto Procuratore Generale della Cassazione, Cesare d’Anna, lasciò la magistratura per raggiunti limiti di età, disse: “ Mi sia permesso di chiudere la mia carriera con un atto di umiltà: a nome di quella Giustizia Italiana che non ho mai tradito, intendo chiedere solennemente perdono ai professori Baffi e Sarcinelli”.
Onori questi che non spetteranno certo a chi ha promosso l’occupazione del Tribunale di Milano e la manifestazione di Brescia.
Marco Vitale