Il Mediterraneo è in pericolo e con esso il vivere insieme, il dialogo, la fratellanza. Consapevole di questo pericolo ha voluto dedicare tutto un suo viaggio alla teologia dell’accoglienza e del dialogo, perno fondamentale di una visione che vuole salvare il meticciato mediterraneo dalle spire degli identitarisimi. Così, sbagliando, qualcuno potrebbe aver preso la sua decisione di visitare soltanto la facoltà teologica dell’Italia meridionale come uno sgarbo a Napoli, la città che la ospita. Non è così, la decisione di partire dal Vaticano per andare a incontrare docenti e studenti dell’ateneo pontificio napoletano e basta voleva sottolineare l’ importanza che il papa attribuisce all’elaborazione di questa teologia e alla sua applicazione al Mediterraneo in gravissimo pericolo.
Uno dei più grandi problemi che la teologia ha sempre creato alle fedi, a tutte le fedi, è derivato dalla capacità di alcuni di soffermarsi su qualche versetto singolo, decontestualizzato, facendone oggetto di un’enunciazione dottrinalista. E’ scritto così, quindi è così. Chi non ricorda il famoso “fermati sole” e gli orrori che hanno tormentato il cattolicesimo per secoli. Ecco, questo dottrinalsimo letteralista è l’esatto contrario della teologia che Papa Francesco ha indicato come indispensabile e urgente nel suo discorso: una teologia che vede i testi sacri come un racconto, una narrazione del rapporto di Dio con il suo popolo, con l’uomo. La teologia narrativa non l’ha inventata certo Papa Francesco, è uno dei frutti fecondi nati intorno al più grande evento ecclesiale del tempo moderno, il Concilio Vaticano II.
Accoglienza e dilago sono parole cardine per la Chiesa conciliare, e applicate alla teologia lo divengono ancora di più. Papa Francesco ha chiarito subito che “ Dialogo non è una formula magica, ma certamente la teologia viene aiutata nel suo rinnovarsi quando lo assume seriamente, quando esso è incoraggiato e favorito tra docenti e studenti, come pure con le altre forme del sapere e con le altre religioni, soprattutto l’Ebraismo e l’Islam. Gli studenti di teologia dovrebbero essere educati al dialogo con l’Ebraismo e con l’Islam per comprendere le radici comuni e le differenze delle nostre identità religiose, e contribuire così più efficacemente all’edificazione di una società che apprezza la diversità e favorisce il rispetto, la fratellanza e la convivenza pacifica. Con i musulmani siamo chiamati a dialogare per costruire il futuro delle nostre società e delle nostre città; siamo chiamati a considerarli partner per costruire una convivenza pacifica, anche quando si verificano episodi sconvolgenti ad opera di gruppi fanatici nemici del dialogo, come la tragedia della scorsa Pasqua nello Sri Lanka. Formare gli studenti al dialogo con gli ebrei implica educarli alla conoscenza della loro cultura, del loro modo di pensare, della loro lingua, per comprendere e vivere meglio la nostra relazione sul piano religioso. Nelle facoltà teologiche e nelle università ecclesiastiche sono da incoraggiare i corsi di lingua e cultura araba ed ebraica, e la conoscenza reciproca tra studenti cristiani, ebrei e musulmani.”
Il nostro Mediterraneo apprezza le differenze? Le conosce? I suoi cittadini hanno partner? L’idea di partner è molto bella e conosciuta in politica, ma che un teologo possa avere un partner di altra fede seduce, in certo senso sorprende, quasi che così facendo si sia richiamati a scoprire che siamo tutti meticci. Il Mediterraneo, e a Papa Francesco va riconosciuto il grande merito di aver detto espressamente, è meticciato, i suoi popoli sono meticci. Non siamo tutti figli di Aristotele e del suo “salvatore”, Averroè? E gli ebrei non sono arrivati a Roma prima dei cristiani? Il Mediterraneo è tale proprio perché non ci può essere “noi e loro”, è il Mare Nostrum perché tutti lo hanno costruito, insieme.
La teologia del Mediterraneo, se così vogliamo dire, è dunque la teologia dell’accoglienza, e vedere questo Mediterraneo dilaniato deve aver fatto pensare al Papa argentino che la sua crisi ormai profondissima è una crisi globale, la crisi globale del vivere insieme che nasce nel Mediterraneo. Ecco l’urgenza che lo ha portato non tanto a Napoli, quanto alla Facoltà teologica dell’Italia Mediterranea, per dire che la ricerca teologica deve essere “libera”. Libera, altrimenti non sarebbe ricerca, ma consapevole del magistero quando si rivolge al popolo di Dio. Mantenendo però la sua libertà di ricerca.
Ma come ha letto il Mediterraneo Papa Francesco? Così: “Non è possibile leggere realisticamente tale spazio se non in dialogo e come un ponte ― storico, geografico, umano ― tra l’Europa, l’Africa e l’Asia. Si tratta di uno spazio in cui l’assenza di pace ha prodotto molteplici squilibri regionali e mondiali, e la cui pacificazione, attraverso la pratica del dialogo, potrebbe invece contribuire grandemente ad avviare processi di riconciliazione e di pace. Giorgio La Pira ci direbbe che si tratta, per la teologia, di contribuire a costruire su tutto il bacino mediterraneo una “grande tenda di pace”, dove possano convivere nel rispetto reciproco i diversi figli del comune padre Abramo.” e ha richiamato l’espressione di padre comune, perché lì deve cadere l’accento, l’attenzione. Se ci sono cristiani che in queste ore affermano che un popolo è migliore di altri per motivi genetici, lui ricorda un “padre comune”. Addio eugenetica!
Il dialogo che ha invocato è anche dialogo con i testi sacri altrui, che molto spesso si pongono in termini dialoganti con gli altri testi sacri, rispondendo a interrogativi che di lì emergono o che lì vengono posti. Un dialogo antico e sempre nuovo, che richiede anche altri dialoghi, a partire da quello con i giovani. “Quando la Chiesa ― e, possiamo aggiungere, la teologia ― abbandona gli schemi rigidi e si apre ad un ascolto disponibile e attento dei giovani, questa empatia la arricchisce, perché “consente ai giovani di donare alla comunità il proprio apporto, aiutandola a cogliere sensibilità nuove e a porsi domande inedite”. Un esempio non citato ma importante è quello dei figli dei migranti nati in paesi diversi da quelli di nascita dei loro genitori, dei quali hanno preservato la fede. Ma che nuovo meticciato propongono? Parlare con loro, capirli, non ha un’importanza speciale?
“ Qual è dunque il compito della teologia nel contesto del Mediterraneo? Essa deve sintonizzarsi con lo Spirito di Gesù Risorto, con la sua libertà di andare per il mondo e raggiungere le periferie, anche quelle del pensiero. Ai teologi spetta il compito di favorire sempre nuovamente l’incontro delle culture con le fonti della Rivelazione e della Tradizione. Le antiche architetture del pensiero, le grandi sintesi teologiche del passato sono miniere di sapienza teologica, ma esse non si possono applicare meccanicamente alle questioni attuali. Si tratta di farne tesoro per cercare nuove vie.” Questa ricerca di nuove vie ha consentito a Papa Francesco di spiegare che la tradizione è come le radici, parte di lì la forza, la vita, che consente però alla pianta di crescere, di vivere. E all’uomo, vien da dire, di procedere, di camminare.
Questo cammino l’uomo Mediterraneo lo sta interrompendo: le sue radici rischiano così di rifiutare di aver nuovi partner, di riconoscere i suoi fratelli, il padre comune, per colpa della paura, che lo induce a nascondersi, a chiudersi nell’identitarismo. La morte del Mediterraneo.
Così Papa Francesco ha avuto il coraggio di citare la Chanson de Roland, i massacri di prigionieri musulmani di cui parla: “questo lo abbiamo fatto noi.” E’ qui l’enorme eccezionalità dell’uomo e del Papa Bergoglio. Senza guardarci allo specchio non riusciremo mai a riconoscere l’altro, a capirne le deviazioni, gli errori, gli abusi, perché potremo farlo solo sapendo che noi abbiamo vissuto abusi, deviazioni, come lui, e che quindi la fratellanza è possibile, non abbiamo un mostro davanti.
Senza la teologia di cui ha parlato Papa Francesco, senza i partner teologici di cui ha chiesto chiaramente di avviare una più intensa ricerca tra ebrei e musulmani, il Mediterraneo ce la potrebbe fare? La risposta sta nella sua scelta di andare a Napoli: no, senza questa teologia finiremmo male.
Il viaggio di Papa Francesco pone così un’urgenza e una consapevolezza: il tempo stringe! E’ come se il Papa avesse detto: io ho trovato un partner con cui scrivere la Dichiarazione sulla Fratellanza, ma questo è stato solo uno sforzo, uno dei mille che dobbiamo fare, insieme, prima che i dottrinalsimi usati dai nazionalismi finiscano di spezzare il Mare che o è veramente Nostrum o cesserà di esistere.