Appare davvero la prova del nove di una nuova evangelizzazione questo ritorno di Bergoglio in America Latina per la Giornata Mondiale della Gioventù. Poco più di un secolo fa, nel 1900, i cattolici in Europa erano 181 milioni rispetto ai 59 milioni del Sudamerica. Nel 2010 il dato è rovesciato in favore dei latino-americani che sono 483 milioni a fronte dei 277 milioni di europei. Sulla popolazione cattolica mondiale, pari a poco meno di un miliardo e duecento milioni di persone, le percentuali rendono lo scenario più esplicito. Oggi il 41 per cento dei cattolici del mondo è latino-americano e il 23 per cento europeo, laddove nel 1900 erano rispettivamente il 16 e il 53 per cento (fonte: Gordon-Conwell Theological Seminary, USA). Naturalmente vanno considerati fattori demografici, sociali, geopolitici nell’analisi del dato, ma i cenni statistici restano di nitida evidenza: anche in ambito religioso l’Europa da tempo non è più il centro del mondo.
Il gesuita Bergoglio, 77 anni, ex arcivescovo di Buenos Aires, è il primo pontefice extraeuropeo negli ultimi 1250 anni. Fin dall’esordio ha conquistato tutti grazie alla semplicità disarmante. Il suo «Fratelli e sorelle… Buonasera» e l’inedito chinarsi dinanzi alla preghiera dei fedeli romani, ai quali aveva chiesto di benedirlo, sono già storia. È rasserenante e liberatorio. Una cifra necessaria dopo i travagliati lustri della Chiesa (scandali finanziari, accuse di pedofilia, «corvi» curiali) e viepiù dopo l’atto umilissimo e profetico delle dimissioni di Benedetto XVI.
Il papato di Francesco è nato sotto il segno della «fine del mondo» donde disse di provenire in piazza San Pietro il 13 marzo. Il riferimento, certo, fu alla distanza dalla natia Argentina, ma per i cattolici l’espressione inevitabilmente acquisì un sapore biblico, associato alla Risurrezione. Ora questo ritorno alla «fine del mondo» approfondisce e radicalizza l’alterità dal/nel presente, la lontananza dal superfluo come dalla tirannide del mercato, lo spirito liminare delle «periferie» che Bergoglio non smette di menzionare. È un ritorno nel cuore del continente della miseria, della violenza, ma anche della fede militante, donde spirò dopo il 1968 il vento della Teologia della Liberazione invisa alla Chiesa conservatrice.
Così lontano, così vicino. Papa Francesco è giunto ad Aparecida, nell’imponente santuario mariano, per compiere un atto di devozione alla patrona del Brasile. Lì, nella conferenza dei vescovi latinoamericani nel 2007 di cui Bergoglio fu un protagonista «dietro le quinte», Benedetto XVI ribadì la scelta ecclesiastica in favore dei reietti, dei diseredati, dei disperati che a decine di milioni popolano le favelas. È un popolo indistinto e insondabile che sia Wojtyla sia Ratzinger cercarono di sottrarre all’influenza marxista considerata vicina alla teologia della liberazione, appunto. L’arrivo di Bergoglio suggerisce nella discontinuità e nelle peculiarità di ogni singolo pontefice anche una straordinaria capacità di «passarsi il testimone». Una chiesa «terza» fra comunismo e capitalismo, pur sempre prima nell’affiancare gli ultimi.
Articolo apparso sulla “Gazzetta del Mezzogiorno” del 24 luglio 2013