Mentre il mondo rincorre il vecchio modello cinese, ansioso di creare Chiese patriottiche e quindi etniche, nazionaliste, fedeli più ai presidenti che al Vangelo, la Cina abbandona il suo modello imperiale nel quale potere politico e potere spirituale si sono sempre identificati, e riconosce il vescovo di Roma quale capo della Chiesa cinese. Così due vescovi cinesi continentali, per la prima nella storia, partecipano in questi giorni ai lavori sinodali, qui a Roma, in San Pietro. E’ poco? Sì, è poco. Perché nel frattempo il capo della Casa Blu, cioè il presidente sud coreano, ha annunciato che durante il suo imminente tour europeo farà tappa anche in Vaticano. Nulla di strano, il presidente Moon Jan-In è cattolico, e il fatto è ben noto. Non è cattolico l’uomo di cui si farà messaggero, il presidente nord coreano Kim Jong un. Nella missiva, si apprende da fonti sudcoreane, Kim si dice pronto ad accogliere in Corea del Nord con entusiasmo Papa Francesco. Dire una cosa del genere avrebbe provocato risate scomposte ancora pochi mesi fa. Non credo che il papa possa pensare di andare in Corea prima che diventino maturi i tempi per un viaggio a Pechino, ma la mossa di Kim sembra aiutare chi vuole consolidare i progressi, in tempi rapidi.
L’asse orientale del pontificato dimostra una vitalità e una qualità di possibili implicazioni che non basterebbe un libro per raccontarli tutti. Solo pensare a cosa significherebbe la riapertura della ferrovia transcoreana dovrebbe far capire. E’ un’altra Chiesa quella che sta nascendo? E’ una Chiesa finalmente universale, pronta ad aprire le sue potenzialità all’ Oriente e ad arricchirsi delle potenzialità orientali. Potenzialità filosofiche, spirituali, umane. Che tutto questo passi quasi in poche righe sorprende. Le guerre commerciali stanno consentendo un’accelerazione dei processi culturali più profondi e vitali, importanti, che non si potevano neanche immaginare. Basta? No, non basta. Perché il Vaticano ha fatto sapere che nel prossimo anno il papa potrebbe visitare il Madagascar. Qualcuno si chiederà cosa c’entri. C’entra, perché il Madascar è il volto orientale delle Afriche, devastato da tutti colonialismi, uno degli epicentri delle catastrofi francesi, poi sovietiche, poi cinesi. Il land-grabbing, quella spoliazione di terre in favore di imprenditori stranieri che destinano solo all’export per il loro paese la produzione, quasi quasi è cominciato lì. Periferia delle periferia, quello in Madagascar si presenta come un viaggio profetico, profezia del mondo degli esclusi, dei paradisi ridotti a inferni di chi ci vive, delle storie che non entrano nella nostra storia.
Invece di restare inchiodati alle sottane di qualche funzionario onorario sarebbe meglio aprire gli occhi e vedere il mondo che cambia, la Chiesa che contribuisce a cambiarlo, e i cambiamenti che questo saprà determinare nella Chiesa che fu Occidentale, mentre oggi diventa davvero universale