Davvero la vicenda degli abusi ai danni di minori in Cile ha riguardato solo quel Paese, il Vaticano e le altre vittime? La domanda è importante perché è importante sapere che Papa Francesco ha scritto ai popolo di Dio che vive in Cile. E quella lettera, curiosamente ignorata per giorni e mai tradotta in italiano dai media ufficiali vaticani, è divenuta disponibile, integralmente tradotta, grazie a La Civiltà Cattolica, in coincidenza con la seconda visita di monsignor Scicluna. Lui, inviato dal papa a verificare se davvero i vertici diocesani avessero coperto dei casi di pedofilia come lui non riteneva, parlando di calunnie, non solo ha scoperto che le vittime dicevano la verità, che le coperture ci sono state, ma tornato si è anche inginocchiato nella città dello scandalo per chiedere perdono. La lettera ai fedeli è stata pubblicata dal sito della Conferenza Episcopale, all’epoca tutta dimissionaria, e finalmente è leggibile integralmente in italiano. Ci riguarda? Sì, ci riguarda e molto, perché più che una lettera è un’enciclica sulla Chiesa, non quella cilena ma quella universale.
Il papa esordiva, questa volta non conclude, ricordando di aver invitato i vescovi a chiedere ai fedeli di pregare. Non per forma, ma perché il popolo di Dio è il vero unto, “il Santo Popolo fedele di Dio è unto con la grazia dello Spirito Santo; pertanto al momento di riflettere, pensare, valutare, discernere, dobbiamo stare molto attenti a questa unzione. Ogni volta che come Chiesa, come pastori, come consacrati, dimentichiamo questa certezza, sbagliamo strada. Ogni volta che cerchiamo di soppiantare, tacitare, annullare, ignorare o ridurre a piccole élite il Popolo di Dio nella sua totalità e nelle sue differenze, costruiamo comunità, piani pastorali, accentuazioni teologiche, spiritualità, strutture senza radici, senza storia, senza volti, senza memoria, senza corpo, in definitiva senza vite. Il fatto stesso di sradicarci dalla vita del Popolo di Dio ci fa precipitare nella desolazione e nella perversione della natura ecclesiale; la lotta contro una cultura dell’abuso richiede che rinnoviamo questa certezza.”
Il punto è importantissimo, riguarda la carta d’identità della Chiesa, universale o locale che sia. E infatti il papa aggiunge con parole chiarissime: “La Chiesa ha bisogno che voi diventiate maggiorenni, spiritualmente maggiorenni, e abbiate il coraggio di dirci: “Questo mi piace; questa strada mi sembra sia quella da fare; questo non va bene” […]… Se lo facciamo, riusciremo a coinvolgere tutti noi in una Chiesa di respiro sinodale che sa mettere Gesù al centro.” Ma qualcuno potrebbe non aver ancora capito che la piramide deve capovolgersi per davvero, secondo Bergoglio; il vertice sotto, la base sopra. E allora il papa prosegue: “nel Popolo di Dio non esistono cristiani di prima, seconda o terza categoria. La loro partecipazione attiva non dipende da concessioni volenterose, ma è invece costitutiva della natura ecclesiale. È impossibile immaginare il futuro senza questa unzione operante in ciascuno di voi che certamente reclama e richiede rinnovate forme di partecipazione. (Il grassetto è nostro)”
Il papa in persona esorta i fedeli a non farsi rubare l’unzione! Perché lo spirito soffia dove vuole, non vuole strutture rigide, schemi prestabiliti, piani quinquennali. “Oggi siamo spronati a guardare a viso aperto il conflitto, ad accettare di sopportarlo, per essere in grado di risolverlo e trasformarlo in un anello di collegamento di un nuovo processo.” Che il papa parli di “vergogna” per la dimostrata incapacità di ascolto fa nuovamente sobbalzare pensando a questa interminabile vicenda cilena. Ma è la ricerca di una nuova capacità di ascolto che vale. Perché si arrivati alle atrocità degli abusi? L’ascolto non è un riconoscimento alle vittime, ma un nuovo modo di soffermarsi davanti alla vita, davanti agli altri e davanti a Dio. “La speranza nel domani e la fiducia nella Provvidenza nascono e crescono dall’assunzione delle fragilità, dei limiti e finanche del peccato per aiutarci a riuscire. Il «mai più» alla cultura dell’abuso, come pure al sistema di connivenze che gli permette di perpetuarsi, richiede che tutti insieme lavoriamo per generare una cultura dell’accoglienza che impregni i nostri modi di relazionarci, di pregare, di pensare, di vivere l’autorità; le nostre abitudini e i nostri linguaggi e la nostra relazione con il potere e con il denaro. Oggi sappiamo che la migliore parola che possiamo proferire di fronte al dolore causato è l’impegno alla conversione personale, comunitaria e sociale, che impari ad ascoltare e ad accogliere specialmente i più vulnerabili.” La critica, la contestazione, osserva ancora, non devono più essere confuse con il tradimento. Ecco perché la Chiesa deve cercare gli attori sociali, I centri educativi, le Università i centri sanitari, gli istituti formazione devono tutti unire gli sforzi per creare una cultura dell’accoglienza. E quindi della protezione. E conclude sottolineando che negli incontri con le vittime ha constatato che senza il riconoscimento non si può camminare insieme. Per questo si dice lieto che le vittime stesse siano riconoscenti ai laici o consacrati che danno la vita per amore nelle zone più recondite dell’amata terra cilena. Perché la Chiesa si fonda su parole molto chiare: “ ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero straniero e mi avete accolto, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, ero in carcere e siete venuti a trovarmi.! Questa conclusione non dice qualcosa anche a noi?
Ma in Italia questa ecclesiologia non passa! Anzi…assistiamo a un ritorno sconcertante di una visione verticistica, soprattutto nelle parrocchie!!