COSE DELL'ALTRO MONDO

Riccardo Cristiano

Giornalista e scrittore

Antonio Spadaro e Carlo Petrini: solo il dialogo salverà il mondo

L’amicizia tra Carlo (detto Carlin) Petrini e Jorge Mario Bergoglio, Papa Francesco, è nata nel settembre del 2013, quando il Papa ha chiamato il fondatore di slow food, piemontese anche lui, nipote di una nonna di antica saggezza contadina. Petrini non immaginava che da quella inatessa conversazione sarebbe nata un’amicizia ricca, seria, profonda. Come non immaginava che, probabilmente di lì, sarebbe scaturita la richiesta da parte dell’Editrice San Paolo di scrivere una guida alla lettura dell’enciclica Laudato Sì’. Un testo che lo ha sorpreso, e che oggi definisce molto più di un’enciclica verde, ecologista, o ambientalista. Ma la base di un nuovo umanesimo, inclusivo, aperto, affettuoso. La sua amicizia con il Papa venuto dalla fine del mondo si è poi sostanziata in diversi incontri e ora raccolti in un libro, Terrafutura, che è stato presentato a Radio Vaticana dall’autore, monsignor Domenico Pompili, vescovo di Rieti e padre Antonio Spadaro, direttore de La Civiltà Cattolica. E’ stata l’occasione per capire come il dialogo, il metodo del dialogo, potrà aiutarci a salvare noi stessi e il mondo.

Il Papa, va da sé, è un credente, cattolico, o molto cattolico. Petrini è un agnostico, non un ateo devoto, il Papa lo ha definito, ha ricordato padre Spadaro, un “agnostico pio”. La definizione, così bella da rendere invidiosi di Petrini e di questo dolcissimo privilegio di essere riconosciuti come  agnostici pii, va capita, sia per il valore che attribuisce all’agnosticismo, assai diverso dall’ateismo, scia per la forza della “pietà”.

E’ quella pietas che informa l’animo umano e che consente un sentire spirituale che non ha nulla del devozionalismo caro agli atei devoti. Scrive Petrini: “ Siamo due persone con storie e vissuti estremamente diversi, eppure ci siamo riconosciuti in fretta. Un agnostico e un Papa, un ex comunista e un cattolico, un italiano e un argentino, un gastronomo e un teologo.” Pochi cattolici definiscono Jorge Mario Bergoglio “un teologo”: Petrini lo fa, perché non ha bisogno di quei paroloni che tanti credenti ritengono distinguere gli esperti di Dio e delle sue cose. Bergoglio appare piuttosto un esperto delle cose umane, un uomo che vive la storia e nella storia, come noi, sapendo dirci tanto di Dio, ma senza paroloni strani, inaccessibili.

E’ nato così un dialogo “onesto”, nel quale cioè l’intenzione non era quella di convertire l’altro, ma di capire e di spiegarsi, di condividere. Ha detto padre Antonio Spadaro:

“ In questo libro io trovo una sfida culturale e sociale fortissima che pone il dialogo come metodo radicale. Oggi si fa sempre più fatica a camminare insieme. La nostra vita sociale e politica mette al centro l’io virale e megafonico. Crediamo solo nella moltiplicazione dell’io medesimo. Invece c’è bisogno di  capirsi, di camminare insieme – sinodo si direbbe in un altro contesto – per costruire un mondo migliore.

Papa Francesco nel 2015, parlando a L’Avana, ha ricordato che una volta era andato in visita in un’area molto povera della capitale argentina. Il parroco del quartiere gli presentò un gruppo di giovani che stava costruendo alcuni locali: «“Questo è l’architetto, è ebreo; questo è comunista, questo è cattolico praticante, questo è…”». Commentò il papa: «Erano tutti diversi, ma tutti stavano lavorando insieme per il bene comune». Francesco la chiama pure «amicizia sociale», che sa coniugare i diritti con la responsabilità per il bene comune. E a Cuba aggiunse: «un Paese si distrugge per l’inimicizia… uccidendo la capacità di unire». 

Se Bergoglio ricorda Buenos Aires, Carlo ricorda la sua piccola città di Bra, nel cuore della provincia cuneese. Lì la palestra di lui e dei suoi amici «aspiranti rivoluzionari» è stata la sede della Società San Vincenzo. Da volontari, lì hanno imparato l’impegno e l’organizzazione. In quegli anni frequentavano contemporaneamente la San Vincenzo e l’Arci, il Partito di Unità Proletaria e i bar della loro città in cui la Democrazia Cristiana dominava incontrastata.

La sua formazione è – scrive – (p. 92) «interamente figlia di questa commistione, di scuole di pensiero apparentemente inconciliabili eppure compresenti, di un periodo di dibattiti, scontri e convivenze azzardate. La nostra identità era costruita dall’interrelazione profonda di queste diversità. Una biodiversità culturale e intellettuale che obbligava ciascuno di noi a immedesimarsi nell’altro, vicino o lontano che fosse; che ci spingeva a cercare le ragioni dell’avversario, con tutta la fatica del caso».”

Ascoltando mi sono domandato quanto sarebbe piaciuto a Pasolini sentire parlare di biodiversità culturale e intellettuale e quanto abbiamo perso questa capacità di apprezzare, valorizzare le nostre costitutive diversità. Certo, nelle diversità bisogna desiderare spiegarsi e capirsi, è per questo che il dialogo ci salverà. Petrini ha ricordato che quando incontrò Papa Francesco sentì che qualcosa li univa, ma non riusciva a cogliere cosa. Poi gli venne in mente che forse erano uniti dalla cultura sapienziale delle loro nonne contadine. E anche questo sarebbe piaciuto tantissimo a Pasolini, anche lui comunista anomalo come Petrini e cattolico anomalo, come se stesso. Come non convenire con padre Spadaro: “Il modello di sviluppo occidentale ha imposto un modello di civiltà e socialità monocromatico che ha progressivamente marginalizzato e penalizzato tutto ciò che non vi si conformava completamente.”

Abbiamo proprio bisogno di riformare, direi di ricostruire la nostra idea di democrazia e in questo la Chiesa può aiutare molto. Petrini ha ricordato che Francesco lo ha invitato a partecipare al sinodo sull’Amazzonia: interventi tutti di quattro minuti, dal cardinale al parrochetto, ha detto, tutti hanno lo stesso tempo a disposizione: poi ogni quattro interventi quattro minuti di silenzio… Ma ci pensate? Quattro minuti sono un’ eternità… in effetti quattro minuti di silenzio a Montecitorio più che all’eternità farebbero pensare al mortorio. Ma Petrini ne ha tratto la certezza che la Chiesa abbia molto da dire alla nostra idea di cammino comune. E le osservazioni di padre Spadaro, anche qui hanno dato peso e forma a questa convinzione: “Carlo cita il concetto di “democrazia vegetale” che invita ad abbandonare il “modello animale” basato su un cervello che coordina rigidamente tutte le attività dell’organismo, per abbracciare appunto quello vegetale, che non è fatto di un centro direzionale unico ma nel quale ogni parte dell’organismo è capace di generare e rigenerarsi, contribuendo al benessere collettivo senza tuttavia essere dipendente dal centro.

Può sembrare paradossale affrontare un discorso sulla fluidità delle organizzazioni in un dialogo con il Papa che rappresenta un’istituzione che da due millenni è l’emblema della gerarchia. Eppure le comunità hanno da sempre fatto parte del panorama organizzativo cattolico esprimendo una enorme forza trasformativa.

C’è in germe qui una idea di sinodalità che si applica al vivere sociale. Sinodo significa «camminare insieme». Nell’antica Grecia, come ci attesta Polibio nel II sec. a.C., identificava un’assemblea di carattere politico. La democrazia è un «cammino» fatto insieme. La parola poi è stata assunta dal vocabolario teologico ed ecclesiastico (ad esempio per il «sinodo dei vescovi») e non è più stata usata laicamente. E invece sinodo – oggi più che mai – deve tornare ad essere anche parola laica e civile.” Magari…

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *