Come avremmo vissuto la sciagura ferroviaria di Andria, l’attentato di Nizza e il colpo di Stato in Turchia se fossero avvenuti tutti lo stesso giorno? In che misura e in che modo avrebbero colpito la nostra coscienza e sarebbero rimasti nella nostra memoria? Dal momento che i giornali e le televisioni, così come siti web e radio,non possono dare il massimo rilievo che a una sola notizia, quale sarebbe stata ritenuta più importante? Abbiamo assistito a situazioni paradossali ma emblematiche: Linea Notte, la trasmissione di Raitre dedicata giovedì sera al disastro ferroviario, si è poi occupata dell’attentato in Francia appena arrivata la notizia in diretta. Così anche la trasmissione Speciale Tg1, in programma ieri sera per occuparsi di Nizza, si è poi interessata in diretta del golpe turco. Con due episodi significativi: la messa in onda di un servizio da Nizza anziché su Istanbul quando il conduttore ha annunciato un “riepilogo del caso” che la regia ha ritenuto riguardasse l’attentato e l’intervento da Parigi di un giornalista che anziché della Francia ha parlato della Turchia..
Non è questione superficiale o di forme. La percezione che noi abbiamo dei fatti è corrispondente alla loro fonte e non al loro reale contenuto. Ma dipende da circostanze contingenti, fortuite e logistiche che niente hanno a che fare con le fonti e con l’importanza dei fatti. Fatto naturalmente salvo il principio di prossimità, per cui – per fare un esempio – gli attentati terroristici avvenuti negli ultimi mesi in Francia hanno avuto in Italia, come in tutto l’Occidente, una risonanza ben maggiore di quella relativa ad altrettanti attentati avvenuti nell’estremo Oriente, in Africa e comunque in regioni che culturalmente riteniamo distanti da noi.
Supponiamo che i fatti di Andria, Nizza e Ankara si fossero sovrapposti in perfetta concomitanza. L’ordine di grandezza giornalistica sarebbe stato proprio questo, dal momento che quello pugliese è il solo fatto italiano? O forse sarebbe valso un criterio di maggiore interesse pubblico per cui l’attentato di Nizza avrebbe avuto più attenzione? O invece sarebbe prevalso un criterio più politico per cui il golpe turco avrebbe avuto la precedenza?
E’ pur chiaro che se a Nizza fossero rimasti uccisi un numero di connazionali tale da impressione l’opinione pubblica italiana, ancor più per la vicinanza della città della Costa Azzurra, più che i morti dei treni; o se a Istanbul la presa di potere dei militari avesse assunto le proporzioni di una battaglia cruenta, l’ordine di interesse sarebbe cambiato. E sarebbe cambiato, quanto alle televisioni e ai siti web, sulla base degli sviluppi dei fatti, rovesciandosi anche di momento in momento.
E’ anche chiaro che gli organi di informazione su carta, via etere e informatici si sarebbero disposti secondo il proprio target, per modo che la stampa popolare avrebbe preferito il disastro ferroviario, che tocca più da vicino chiunque perché chiunque si serve del treno; quella di informazione e da rotocalco avrebbe scelto l’attentato, perché più vicino alla sensibilità di chi viaggia per turismo; e quella più politicizzata avrebbe dato maggiore risalto al colpo di Stato perché coinvolge un Paese europeo che è membro della Nato e che è pesantemente impegnato nella crisi siriana.
Tutto è relativo, anche in questo campo. Ma ragionando in termini assoluti, ipotizzando che dei tre fatti fosse giunta a una trasmissione in diretta com’è un telegiornale notizia simultanea, quale avrebbe avuto maggiore spazio? Ovviamente la notizia più circostanziata. Questo criterio si abbina poi con quello cronologico, cosicché la notizia più recente, anche solo di un minuto, prevale su quella precedente.
Questo insieme di elementi, che non dipendono da scelte programmabili ma perlopiù dal caso, determina nella nostra percezione un grado di interesse che non può non essere equivalente alla mole di notizie che riceviamo e al modo in cui ci vengono date e rappresentate, a prescindere dal loro fondamento, dalla loro esatta veridicità e dal giudizio pubblico e condiviso che maturerà dopo la loro conclusione.
L’incalzare dei fatti che si sono avuti questa settimana e che si sono confusamente sovrapposti nei media e sui giornali pone una questione che attiene alla filosofia della comunicazione e alle strategie di controllo dell’opinione pubblica e di formazione delle coscienze. Il vecchio trucco della migliore criminalità, che quando deve compiere una grossa rapina o compiere un delitto eccellente accende in città numerosi allarmi così da impegnare le volanti altrove, può essere utile a chi decida di compiere azioni intendendo calibrarne l’eco. Se oggi decido di protestare contro la fame nel mondo e mi do fuoco in piazza pensando di avere un grande rilievo sul telegiornale delle 20 della Rai (cosa che in realtà dipende solo da me), devo tenermi bene informato se in prossimità del mio gesto non succedano fatti che possano relegarmi in una notizia di qualche secondo o estromettermi addirittura. E’ vero che la notizia si fa strada da sola, ma per correre e avere visibilità la strada deve essere libera. Se lo è, il mio piccolo gesto non diventa solo una notizia ma anche il prodromo di altri fatti. Qualche altro può emularmi, un senatore può interrogare il governo, una legge può essere portata in Parlamento. Siamo nell’era nuova nella quale i fatti producono notizie e le notizie a loro volta producono nuovi fatti. La sfera sempre più sofisticata della comunicazione, resa tale dal progressivo perfezionamento e dal moltiplicarsi dei mezzi tecnologici (per cui Erdogan si affida ai social forum per raggiungere il suo popolo, ovvero il suo pubblico), può portare a una forma di deterrenza statale contro i rischi della deflagrazione di notizie capaci di creare fatti che quelle e questi siano prodotti a tavolino. Determinare un fatto che prevalga su un altro in maniera da soffocarlo e minimizzarlo può rispondere a perverse logiche di Stato e a nuove “strategie della tensione” che non sono fantascienza. Già film, ormai di qualche anno, come Matrix e soprattutto Minority report dimostrano che questo scenario è possibile. Al momento è oggetto solo delle teorie del complottismo, che ammettono eccome queste dinamiche, ma in un domani non lontano potrebbe essere lo scacchiere mondiale nel quale saremo costretti a vivere.
IL SOTTOSCRITTO