CROCE E DELIZIE

Corrado Ocone

Filosofo

Andrea Caffi, un importante e non a caso dimenticato intellettuale italiano

Domani pomeriggio  si svolgerà presso la Fondazione Basso un incontro seminariale molto interessante dal titolo “Catastrofe europea e antinomia del socialismo/comunismo tra le due guerre mondiali”. Nel corso dell’incontro verrà presentato un importante carteggio, uscito da qualche mese e che meriterebbe una maggiore visibilità di quella, quasi inesistente, che ha finora avuto: “Cosa sperare?”. Il carteggio tra Andrea Caffi e Nicola Chiaromonte: un dialogo sulla rivoluzione (1932-1955), a cura di Marco Bresciani (Edizioni scientifiche Italiane, Napoli 2012). In particolare, è la figura di Caffi (1905-1955) che stata del tutto dimenticata o meglio occultata, a conferma di quanto si è più volte detto in queste note a proposito dell’ innegabile presenza di una precisa “egemonia” culturale nel dopoguerra italiano. Basti pensare che su di lui non esiste nemmeno la voce wikipedia! Eppure, Caffi è stato uno dei pochi intellettuali italiani veramente cosmopoliti: immerso in una rete di rapporti e collaborazioni che dalla Russia, ove era nato, alla Francia, ove si era rifugiato per sfuggire ai fascisti, agli Stati Uniti, lo facevano essere un punto di riferimento imprescindibile per una significativa parte dell’intellettualità occidentale. Quale parte? La risposta alla domanda ci aiuta anche a sviscerare il motivo principale della sua “messa al bando” (poco importa se consapevolmente voluta o inconsapevole). La parte, voglio dire, di quegli intellettuali di sinistra, anzi socialisti, sempre e coerentemente avversi non solo ai fascismi ma anche al comunismo sovietico. Basti pensare all’articolo sulla rivoluzione russa pubblicato da Caffi nei “Quaderni” di Giustizia e Libertà nel 1932 ove è scritto chiaramente che il regime staliniano è assimilabile a “altri mostruosi parti della nostra epoca”. Sono tuttavia altri e tanti i luoghi, qui nemmeno citabili, dell’opera di questo straordinario intellettuale che lo portarono ad elaborare idee non troppo dissimili da quelle che Hannah Arendt avrebbe portato all’attenzione di un largo pubblico nel 1951 con le sue Origini del totalitarismo. E, d’altronde, va notato che la filosofa tedesca era ispiratrice e nume tutelare di quella rivista “politics”, uscita a New York fra il 1944 e il 1946, fondata e diretta da un suo grande amico, nonché scienziato di vaglia: Dwight Macdonald (autore del celebre e per me intramontabile testo, essenziale per capire la cultura del nostro tempo, che risponde al nome di Masscult and Midcult). Di quella rivista Caffi fu, per l’intercessione di Chiaromonte, di cui era in qualche modo maestro, e che intanto dalla Francia era riparato all’inizio della guerra negli States, uno dei più prestigiosi e assidui collaboratori: alcuni suoi memorabili articoli sono ora raccolti nella bella antologia “politics e il nuovo socialismo. Per una critica radicale del marxismo, pubblicata l’anno scorso da Marietti a cura di Alberto Castelli e che si apre proprio con un memorabile ricordo del direttore scritto da Arendt nel1955 (il titolo, He’all Dwight, gioca sull’assonanza tra il nome proprio Dwight e l’aggettivo right)). In essa sono riprodotti quattro importanti, e direi illuminanti, saggi- articoli di Caffi: The Automatization of European People; Toward  a Socialist Program, Violence and Sociability e Mass Politics and Pax Americana). Dalla loro lettura, che vivamente consiglio, vengono fuori le caratteristiche chiave dell’ universo mentale di Caffi, tutte oggi di una straordinaria attualità: avversione al comunismo, ma anche al “mito burocratico” della socialdemocrazia; critica dello statalismo;  opzione per un socialismo umanistico e libertario; assoluta libertà di pensiero e agilità mentale, da vero “irregolare”; proposta di superamento dello stesso Stato-nazione  in una prospettiva che prevede dall’alto organismi sovranazionali (a cominciare dalla Federazione europea) e dal basso organizzazioni e enti di ogni tipo secondo un modello di associazionismo tocquevilliano. Non ce n’è abbastanza per leggere e riscoprire questo importante italiano?

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