Sono reduce da un convegno su Jean Jacques Rousseau, svoltosi a Piacenza, a trecento anni dalla sua nascita. Ad organizzare l’incontro è stata la Fondazione di Piacenza e Vigevano, un’istituzione radicata nella città che è riuscita, come spesso capita nella provincia italiana, a coinvolgere molti cittadini e soprattutto gli studenti delle scuole. Debbo dire che l’ambiente era caloroso e gli organizzatori gioviali, anche se devo osservare che ero circondato da entusiasti apologeti del pensatore ginevrino in netto contrasto con le mie tesi antiroussoviane. E tali erano, in verità, anche gli altri due relatori del convegno: Diego Fusaro e Elena Pulcini. Poiché poi anche in filosofia vigono le mode, questo è il momento in cui fra gli studiosi fa molto “figo” insistere sul concetto roussoviano di “autenticità”. Lo ha fatto Fusaro, che è un giovane docente del San Raffaele di Milano di fervente fede anticapitalistica e antiamericana. Ma lo ha fatto anche la professoressa Pulcini dell’Università di Firenze, la quale proprio alla “ricerca dell’autenticità” in Rousseau ha dedicato la sua relazione. La professoressa probabilmente si sarà mossa in questa direzione dopo aver ascoltato la simpatetica relazione introduttiva tenuta da Alessandro Ferrara all’ultimo convegno da lui presieduto della Società Italiana di Filosofia Politica, dedicato proprio a Rousseau: anche lui ha parlato di “autenticità” e “normatività” (un altro termine che, ammetto, non mi piace).
Ora, io credo che il concetto di autenticità sia un concetto che possa certo essere affrontato in filosofia, ma non nel modo banale del concettoso pensiero empirico di certi politologi. Tanto di cappello, voglio dire, ad un Heidegger che distingue da par suo “esistenza autentica” da “esistenza inautentica”: si può anche dissentire, ma lì siamo su un terreno alto, speculativo! Per quel concerne il nostro discorso invece va detto che il concetto di autenticità è non solo improduttivo nella scienza politica, ma anche pericoloso. Improduttivo lo è per la sua evidente impoliticità, che, se da una parte può essere di aiuto per vedere di lato, e quindi meglio, certi aspetti del politico che uno sguardo diretto vedrebbe difficilmente, dall’altra parte genera non pochi fraintendimenti. Esso, soprattutto, contesta quell’”autonomia del politico” che è conquista della modernità e che esige che l’uomo che svolge questa attività sia giudicato per l’efficacia della sua azione e non per il carattere interiore del suo essere. Ma pericoloso il concetto di “autenticità” lo è poi anche perché immette un elemento di perfezionismo morale nel discorso politico, che porta dritto dritto ad assegnare alla politica un compito smisurato e che sovrasta di molto il suo specifico. Può anzi giungere addirittura a far pensare che attraverso la politica sia possibile cambiare l’uomo o addirittura creare l’ “uomo nuovo” (il convegno si intitolava significativamente: Jean-Jacques Rousseau. Progetto politico per un uomo nuovo). Non è un caso perciò che Jacob Talmon nel suo classico La democrazia totalitaria (1952) abbia individuato nel ginevrino una importante tappa di quel percorso che dal messianismo politico del diciottesimo secolo porta al totalitarismo novecentesco. Né è altresì un caso che sia stata sempre molto decisa nei decenni “la critica liberale al pensiero politico di Rousseau” (era il titolo del mio intervento, ma anche di quello che avrebbe dovuto tenere al posto mio Giuseppe Bedeschi che, per sopraggiunti impegni, non ha potuto partecipare e ha fatto il mio nome agli organizzatori). Sul profondo antiliberalismo di Rousseau, non hanno mai avuti dubbi Constant, Tocqueville e poi, nel Novecento, Croce, Einaudi, Arendt, Aron, Berlin, solo per fare il nome dei maggiori pensatori liberali. E dispiace davvero che oggi ne abbiano non dico un Fusaro, che è dichiaratamente marxista, ma studiosi come i Ferrara, i Pulcini e alcuni loro ispiratori liberal nordamericani. Un’ulteriore esempio forse di quanto affermava Croce nella sua noterella Contro la troppo filosofia politica: il pensiero astratto sulla politica alla fine genera un cattivo pensiero e una cattiva politica!