In questi giorni il Paese sembra percorso dalla sindrome di Alice nel paese delle meraviglie. Lo vediamo in relazione al lavoro ed all’occupazione, dove sviluppi assolutamente prevedibili vengono oggi vissuti come una grande, inattesa sorpresa. Quello che sta succedendo sembra tutto inatteso, imprevedibile, e suscita stupore.
Poniamo in essere il più severo “credit crunch” degli ultimi settanta anni; facciamo chiudere 50,000 aziende; raggiungiamo una delle maggiori, se non la maggiore, pressione fiscale del mondo; alimentiamo una burocrazia che, più o meno, conta almeno un milione di eccedenze; manteniamo, come nababbi, una classe politica micidiale per numerosità, avidità, incompetenza; portiamo quasi a zero tutti gli investimenti pubblici; il più grande debitore, lo Stato, non paga i suoi fornitori; dilapidiamo il nostro petrolio, cioè paesaggio e beni culturali tutelati dall’art. nove della Costituzione, e abbondiamo in concessioni ad imprese straniere perché perforino, a loro profitto, i nostri mari e se lo fanno in località turistiche è meglio; raggiungiamo il, di gran lunga, maggiore livello di corruzione di tutti i paesi sviluppati; abbiamo, in tutto il Paese, Lombardia in prima fila, una componente dell’economia rappresentata dalla malavita organizzata di dimensioni senza eguali; abbiamo un sindacato ed una cultura imprenditoriale preistorici (come anche la tragedia dell’ILVA dimostra) e, con tutto ciò, ci meravigliamo di essere in recessione e del fatto che la recessione crea disoccupazione soprattutto giovanile. E così come nel 2009 non volevamo capire che non si trattava di una crisi congiunturale (come allora affermava il 95% degli economisti generali e degli intellettuali organici), così oggi non vogliamo accettare che non si tratta più di semplice recessione ma di depressione (cioè caduta e distruzione di valori). Poffarbacco! E chi l’avrebbe mai detto! Ma il Governo deve fare, “in tempi brevi” “qualche cosa”.
La sindrome di Alice nel paese delle meraviglie si estende ad altri settori della vita comune, al di fuori dell’economia. Ad esempio nella scuola, nell’ambiente, nella caduta dei servizi pubblici, nella sanità (si lascia occupare la sanità non dal merito ma dagli affaristi politicanti e poi ci si lamenta che la sanità funzioni male, e mentre molti, obtorto collo, si rifugiano nella sanità privata a pagamento, gli autori di questo capolavoro vengono promossi nel loro “cursus honorum”).
Ma io ritrovo la sindrome di Alice nel paese delle meraviglie persino in molti sacerdoti amici. Sono felici e meravigliati di avere un Papa come Francesco e richiamano, con gioia, la mia attenzione sulle “cose bellissime” che dice Papa Francesco. Ed a me non regge il cuore di rispondere che le “cose bellissime” che dice Papa Francesco, sono semplicemente i fondamentali del cristianesimo, che avevamo rimosso.
L’aggiustamento che dobbiamo realizzare – ha detto il governatore della Banca d’Italia nella sua recente relazione che parla il linguaggio severo della verità – è di portata tale che “se necessita del contributo decisivo della politica, è essenziale la risposta della società e di tutte le forze produttive”. Ma non illudiamoci – ha aggiunto: “Le riforme di struttura richiedono tempo”.
E’ proprio quest’ultimo punto che giustifica un grande pessimismo. Sembra, infatti, ancora una volta partita la tipica sequenza che è alla base della nostra rovina: lasciamo deteriorare situazioni e problemi sino all’estremo; quando proprio siamo con le spalle al muro incominciamo ad urlare che bisogna fare qualche cosa subito (sono quelli che già Nitti chiamava: “qualchecosisti”); e così si prendono misure di emergenza che, magari offrono qualche sollievo temporaneo a qualcuno ma peggiorano ed ingarbugliano sempre di più la situazione generale.
Marco Vitale