Editoriale da santalessandro.org
Sabato 24 luglio 2021
Giovanni Cominelli
COME AFFRONTARE LA SECOLARIZZAZIONE?
La documentazione sul declino della fede cristiana e delle Chiese cristiane in Europa è ormai schiacciante. Le ricorrenti ricerche di Franco Garelli “sull’Italia incerta di Dio” lo confermano.
Da questo personale osservatorio interessano qui le conseguenze sul rapporto tra Chiesa, credenti e politica.
Nicola Mirenzi ha raccolto per l’Huffington Post i pareri del teologo Massimo Faggioli, che insegna teologia negli Usa, di Gianfranco Brunelli, direttore del Regno e del succitato Giampiero Della Zuanna, ordinario di demografia a Padova, i quali spiegano, con dovizia di argomenti, perché il mondo cattolico non incide più sulla politica e, in particolare, sul PD.
Se la CEI ha chiesto inutilmente modifiche del DdL Zan, se settantanove organizzazioni cattoliche hanno inviato una lettera ai senatori italiani per chiedere loro di “scongiurare gli effetti illiberali” del disegno di legge Zan, respinta dall’onorevole, se Enrico Letta ha opposto un no intransigente , mentre si appresta a transigere sulla giustizia, vuol dire che quella relazione storica si è rotta. In risposta al declino, dall’interno del pluriverso cristiano e cattolico si muovono tre tendenze.
La prima è quella “reazionaria”, che fa capo a settori della Curia vaticana e ad alcune conferenze episcopali, dagli Usa, all’America latina, all’Africa. Ultimo episodio è quello della rivolta contro l’abolizione da parte di Papa Francesco del Motu proprio “Summorum pontificum” emanato da Papa Benedetto XVI il 7 luglio del 2007, che aveva ripristinato la possibilità della messa in Latino. D’ora in poi sarà il vescovo locale a decidere, su domanda, se dare il permesso per celebrarla.
La seconda è quella “pro-attiva”, che fa capo allo stesso papa Francesco, inevitabilmente più prudente, e ad alcune conferenze episcopali del Nord-Europa, tra cui quella tedesca, proattivissima.
La terza è quella “dorotea” trasversale di molti vescovi e di molto clero, “impiegati” di una burocratica gestione del declino. Che appare inevitabile, ma solo sul lungo periodo, quando saranno/saremo tutti morti.
Queste vicende interne della Chiesa non toccano la società civile e la politica? A quanto pare, la società italiana ed europea e la politica sembrano indifferenti al declino del Cristianesimo quasi che non fossero in questione le loro radici. In ciò, d’altronde, consiste il suo declino. E quando la politica se ne occupa, lo fa sempre sub specie elettorale. E poiché, per rimanere in Italia, il PD, che pure è nato dall’alleanza tra cattolici e comunisti, pare ormai disinteressato alla crisi del cattolicesimo, forse nell’illusione di vivere di rendita…elettorale, la destra nazionalista e sovranista si è messa ad esibire simil-presepi, santissime madonne e rosari, con Salvini che si propone come il novello San Giorgio megalomartire, che con un soffio abbatteva gli idoli di pietra dei templi pagani.
Eppure, dovrebbe essere ben chiaro che la caduta del senso religioso, di cui la crisi cristiana è immediata conseguenza, tocca direttamente la tenuta delle società moderne. Se alla costruzione della “città umana” la religione ha fornito il cemento etico essenziale, che succede alla società, quando il cemento si sgretola e i muri rovinano? Se la religione offriva “salvezza” e “protezione”, chi risponderà a questa domanda profonda, che il Covid ha improvvisamente sovraccaricato di urgenza quotidiana? Se prima valeva una scontata divisione del lavoro, per la quale la religione era la fabbrica dei valori e la politica li “usava” nel governo della società, chi produce oggi i valori, cioè dei modelli di relazioni tra gli individui, tra le comunità e gli individui, tra le comunità e le comunità?
Il noto dilemma dello Stato secolarizzato di Böckenförde vede accrescersi la tensione tra i suoi due corni: “Da una parte, esso può esistere come stato liberale solo se la libertà che garantisce ai suoi cittadini è disciplinata dall’interno, vale a dire a partire dalla sostanza morale del singolo individuo e dall’omogeneità della società. D’altro canto, se lo Stato cerca di garantire da sé queste forze regolatrici interne, attraverso i mezzi della coercizione giuridica e del comando autoritativo, esso rinuncia alla propria liberalità e ricade – su un piano secolarizzato – in quella stessa istanza di totalità, da cui si era tolto con le guerre civili confessionali”.
Di fronte a tale dilemma, la sinistra sembra essersi abbandonata alla libera creazione di valori della società civile, assumendo senza filtri ciò che la società civile produce dal suo interno, dalla “cancel culture” alla “gender culture”: liberalismo radicale sul piano dei valori, statalismo su quello economico-sociale. La politica come pagina bianca dell’etica pubblica, sulla quale gli individui e la società scrivono tutto quanto passa loro per la testa, tendendo a trasformare gli istinti in desideri, i i desideri in bisogni, i bisogni in valori, i valori in diritti. La destra sembra avere scelto l’altro corno: quello della coercizione giuridica e del comando autoritativo sul piano dei valori. Concretamente: imporre per legge la conservazione della vecchia tavola di valori. Quanto al piano economico-sociale, invece, la destra è altrettanto statalista-protezionista della sinistra. Non stupisce, a questo punto, che la parte “reazionaria” dei credenti e della Chiesa cerchi un usbergo nella destra, la quale ripropone la vecchia teologia politica, ovviamente secolarizzata.
Nelle spire di questo dilemma è di grande aiuto il libro del Card. Joseph De Kesel, arcivescovo di Bruxelles: “Foi et religion dans une societé moderne”, appena pubblicato in Francia, del quale dà notizia e breve recensione l’Agenzia Asca.
E’ un suggerimento su come affrontare i processi di secolarizzazione, che riguarda tanto i credenti, quanto l’intera società civile e la politica che la rappresenta. Rimandando alla lettura diretta, la tesi è, sinteticamente, la seguente: “Il cristianesimo in Occidente non è più la religione culturale. Questa cristianità non esiste più. La fine di questa cristianità non significa tuttavia la fine del Cristianesimo. Si tratta della fine di una sua figura storica. Il Cristianesimo e la Chiesa sono stati per secoli un fenomeno determinante nella costruzione della vita nella società. La loro posizione era inevitabilmente molto influente. Una posizione sicuramente confortevole. Ma da nessuna parte nel Nuovo Testamento ci viene detto che quella è la posizione ideale del Cristianesimo, né che è la situazione che più gli si attaglia”.
Il cardinale obbliga a prendere atto che la de-ellenizzazione del Cristianesimo, denunciata nel discorso di Regensburg del 12 settembre del 2006 da Benedetto XVI, è ormai irreversibile. L’in-culturazione ha fatto un’inversione a U verso l’es-culturazione. Un mondo è finito, il mondo delle “culture che si dicono cristiane”, ed è anche “la fine di una cultura religiosa” tout court. Inutile sprecare energie nel tentativo di “ricristianizzare la società”.
La fede, dunque, privatizzata, ridotta in interiore homine? Al contrario, dice il Card. Kesel, i credenti devono parlare in pubblico e difendere il diritto di farlo. La Chiesa, anzi, deve sentirsi stimolata a prendere pubblicamente la parola, per scongiurare che “l’islam sia la sola opzione religiosa che sussiste in una cultura per il resto interamente secolarizzata”.
Infine, si tratta di un appello all’esercizio della libera responsabilità, alla testimonianza, al costituirsi in minoranza creativa, come, d’altronde, lo stesso Ratzinger invita a fare, nel suo racconto biografico a Peter Seewald. Riguarda i credenti, ma anche e in ogni caso, ogni persona. Generare relazioni-modello tra le persone, cioè valori, è l’unico modo per tenere insieme le società umane, nel venir meno di ogni Autorità esterna. Con ciò, in realtà, non si esce dal dilemma di Böckenförde tra “sostanza morale dell’individuo” e il ruolo della comunità. Ma è certo che il punto di partenza è quello cristiano-liberale della sostanza morale della persona. Come generare persone morali è tuttavia non è soltanto un problema degli individui, riguarda la comunità/società educante chiamata a generarli.