A 77 anni Bijan Zarmandili ha smesso di soffrire, ma purtroppo per noi ha smesso anche di domandarci, di interrogarci, di raccontarci. Un grande scrittore, un grande conoscitore dell’animo umano, un grande figlio dell’Iran plurale, una voce libera e profonda ha smesso di accompagnarci tra i meandri che collegano il mondo dove è nato, l’Iran, e quello dove ha vissuto, l’Europa.
Bijan non era solo un giornalista e non era solo uno scrittore, ha cercato a lungo lo spazio dell’incontro tra racconto e memoria, tra deserto e mare, tra vita e tradizioni, tra politica e sentimento. La religione non era sua amica, ma la rispettava, la indagava, ne riconosceva la forza e il significato per l’uomo. La politica era sua compagna d’infanzia, ma non lo riassumeva, non lo completava, non riusciva a dire tutto quel che gli sembrava importante dire. I colori erano un tratto importante del suo interesse, della sua indagine che guardava sempre all’animo umano.
Bijan è stato un intellettuale vero, un grande giornalista che non si fermava davanti all’apparenza dei fatti o delle nostre preferenze, poi ha scelto di seguire una voce profonda, tumultuosa, prevalente e ci ha regalato romanzi importanti, che i suoi editori hanno presentato in quel flusso ininterrotto che chi li ha letti ha certamente apprezzato. Dei tanti lavori che Bijan sentiva crescere dentro di sé come un fiume che lo invadeva mi piace ricordare “L’estate è crudele”, un vero capolavoro di indagine umana.
Per tanti anni Bijan Zarmandili è stato un compagno fedele e attento della lettura dell’animo umano, io credo poi da duplice sopravvissuto, all’impegno civile per il suo Paese e poi a quello per un Italia solidale, aperta.
Conosceva benissimo le dinamiche di quello che noi chiamiamo Oriente, il peso del suoi costumi antichi, delle sue deviazioni, delle eresie, dei regimi. Ma conosceva anche le dinamiche nostrane, i nostri meccanismi politici e identitari. Il giorno in cui ha deciso di dire “io non parlo più dell’Iran in termini di analisi giornalistica perché manco ormai da troppi anni” l’ho vissuto come un giorno doloroso perché ci ha privato di una voce attenta, intelligente e libera. Ma quel giorno ci ha regalato un romanziere italiano, di enorme qualità, che non era uno “narratore etnico”, no. Era una voce dell’Italia che poteva essere e che sarebbe, un’Italia più ricca, più inserita nel mondo e figlia del mondo. Per raccontare, ad esempio, doveva tornare sui luoghi, ad esempio a Valle Giulia, e ricordare i giorni dei grande cortei, dei suoi incontri.
E’ una grande perdita la perdita di Bijan, un uomo delicato, profondo e affettuoso, una voce calda e ricca di affabulazioni, un figlio della politica e dell’impegno progressista che ha indagato in tantissime forme l’animo umano, senza subire cesure o barriere. Ha reso il panorama culturale italiano più ricco e mediterraneo. La cosa migliore più importante che possiamo fare per ricordarlo è rileggere i suoi romanzi e scoprire nei tratti dei vari protagonisti dei nostri contemporanei, dei figli di un mondo che lui ha portato a diventare cittadini del nostro mondo. Sia gli aguzzini sia le vittime, sia il mare sia il deserto. Ciao Bijan, e grazie di cuore.
Grazie di questo articolo che cosi’bene ricorda il valore di un essere umano profondamente elegante
Grazie di questo significativo e affetuoso ricordo di una persona profondamente elegante