La responsabilità sarà pure dei mutamenti climatici e della mancanza di responsabilità dell’uomo contemporaneo di fronte alla natura, ma queste settimane di fine luglio e inizio agosto sono davvero faticose da sopportare, anche se nello scorso anno si scherzava su quanti erano andati a prendersi la pioggia al mare invece di rimanere a godersi uno strano fresco agostano nelle metropoli. Come dice la tabaccaia, che personifica la natura in un tardivo rimasuglio di paganesimo, quest’anno ce la fa pagare, si vendica anche dello scorso anno e ci massacra con temperature da deserto egiziano.
Oggi, domenica, al caldo si aggiunge anche un silenzio pressoché totale; i posteggi sotto casa sono vuoti e le automobili non passano, neppure quella moto che spesso allieta le notti del rione con il suo rombante motore tirato per il collo. Troppa luce e troppo silenzio. Mi tornano in mente pomeriggi infantili passati nella casa in campagna, dove tuttavia a fare compagnia c’erano almeno le cicale, che allora avrei volentieri torturato per il fastidio e l’insensatezza del loro frinire – si dice così? – e soprattutto delle loro pause che davano l’illusione, solo l’illusione, di poter godere un attimo di pace.
Anche il condominio è quasi vuoto e totalmente silenzioso; i pochi rumori si ingigantiscono e mettono subito in sospetto, per non dire di quando si sente suonare il campanello o si ha l’impressione che suoni. Ci si sente vittima della sindrome dell’assedio: chi mai può essere? uno scherzo? un testimone di Geova? meglio non rispondere e fingere di essere in vacanza.
È certo il caldo.
Nel secolo V, san Nilo, monaco cenobita egiziano che il deserto le frequentava realmente scrive:
Il malato ossessionato dall’accidia tiene gli occhi fissi sulla finestra e la sua immaginazione crea per lui un visitatore fittizio; al minimo cigolio della porta, egli scatta in piedi; al rumore di una voce corre a guardare dalla finestra; ma, invece di scendere in strada, torna a sedersi al suo posto, intorpidito e come colto dallo stupore. (De octo spiritibus malitiae 14)
Certo, bisogna riprendere a lavorare, a leggere quelle decine e decine di pagine che si sono accantonate per il periodo estivo. Poche righe e lo sguardo si fissa sulla pagina o sul monitor del pc, rendendo difficile il proseguire:
Quando legge viene interrotto dall’inquietudine e scivola quasi subito nel sonno; si strofina il viso con due mani, si stira le dita e, trascurando il suo libro, fissa gli occhi sulla parete … (Ibidem)
Forse, se si contano le pagine mancanti, si ritrova l’energia necessaria per stabilire quante pagine oggi, quante domani ecc.,
allo stesso tempo si riempie la testa di calcoli oziosi, conta le pagine e i fogli dei quaderni, finisce per chiudere il libro per farne un poggiatesta; cade quindi in un sonno breve e leggero, da cui trae una sensazione di privazione e di fame imperiosa. (Ibidem)
Forse è davvero ora di andarsene, non si può più resistere in questo luogo canicolare; manca una settimana alla partenza per qualche giorno di mare, ma è difficile resistere e cavare qualcosa di buono da queste giornate pesanti. La stessa cosa veniva da pensare a Giovanni Cassiano (365-425), anch’egli frequentatore del deserto e poi fondatore di monasteri a Marsiglia:
Non appena questo male si è insinuato nell’animo del monaco vi produce l’avversione per il luogo, il fastidio per la cella e perfino la disconoscenza e il disprezzo per i fratelli che vivono presso di lui o lontani da lui, come se fossero negligenti e persone poco spirituali. (Le istituzioni cenobitiche 10.2.)
Perché poi, a pensarci bene, anche tutte queste letture, tutte queste parole, non si sa se servano davvero a qualcosa o se siano appunto solo parole che non seminano nulla, che non producono alcun risultato.
… si lamenta assai di frequente di non aver conseguito alcun profitto, deplora e si rammarica di non ricavare alcun frutto finché rimarrà legato a quella comunità … (Ibidem)
Viene anche la tentazione di andare altrove – il grande fascino dell’altrove – dove potrebbe essere più significativo anche insegnare e riflettere sulla storia della filosofia, dove potrebbe esserci qualcuno che ne tragga profitto per fini più comprensibili che non la formazione di persone che non troveranno lavoro, che non sapranno che farsene di quanto hanno imparato, che potranno solo lamentarsi se per caso gli saranno risultate interessanti queste infinità di parole.
… esalta i monasteri posti in regioni lontane e, in più, configura quei luoghi come maggiormente vantaggiosi al progresso dello spirito e più efficaci per la salvezza … infine finisce per persuadersi di non potersi salvare, restando in quel luogo, a meno che, abbandonata quella cella … non si decida a liberarsene quanto prima. (Ibidem)
Poi si avvicina il mezzogiorno, aumenta la sensazione di essere ridotto allo stremo e alla stanchezza provocata da un lungo viaggio o da una gravissima fatica e aumenta anche il desiderio di quella limonata frizzante che dà un minimo di senso alle giornate canicolari e allora occorre uscire e andare al supermercato. Al ritorno il muretto all’ombra invita a una sosta, in cui però ci si sorprende di una certa quale confusione di mente che il terrorismo dei mezzi di comunicazione porta a pensare come si trattasse di un malore dovuto alle temperature eccessive. E invece no; è lì accanto, seduto anch’egli sul muretto, al sole naturalmente, e finalmente si fa riconoscere. Anche agosto in città può insegnare qualcosa e consentire di incontrare il mitico demone meridiano.
Caro Massimo,
spero che nel frattempo tu sia riuscito a fuggire dalla città, dalla tua tabaccaia degna dell’Auggie Wren di Paul Auster, dai rombanti 10 hp delle moto notturne, e dalle canicole che stampano ombre sugli scalcinati muri della città deserta. Ma soprattutto dal tentativo invano di cercare le parole in grado di aprire mondi che squadrino da ogni lato gli animi nostri informi, se ben ricordo la poesia … (un Montale monastico? Oppure solo un poeta ligure e accaldato da una insopportabile macaja che cercava l’ombra sotto qualche sillaba storta e secca come un ramo?). Spero insomma che ora tu stia per accingerti a conversare di facezie con il tuo sorriso aperto e travolgente sotto un ombrellone appiccicato ai vicini e che, mentre chiacchieri rumorosamente, tu sia finalmente passato, nelle stanze della tua memoria, a ripescare parole e motivetti meno accidiosi, canzoni più azzurre, bagnate dal mare e dal mare insaporite tra l’incessante andirivieni delle onde, una sopra l’altra, su una battigia che, caro professore, si fa sempre più stretta, belìn, anno dopo anno. Ah, il fritto misto, le canzonette di Emma, stare nudi ma non troppo sotto l’ombrellone, la crema che fa sembrare fantasmi per poi scottarsi lo stesso, le mille seduzioni di quel cornetto dai nomi troppo allusivi per non far partire intriganti analogie … Ah il mare, che felicità. Spero insomma che tu ti sia lasciato alle spalle i demoni della calura. Lasciamoli allora al ricordo e alle poche, magistrali righe di quanto, nel Maestro e Margherita, Bulgakov racconta capitò a Berlioz, direttore di una corposa rivista di Arti e Lettere:
Così Bulgakov. Ed è vero. Come le brume, le radure e i piccoli villaggi sperduti per le streghe, e i castelli per i fantasmi, così ogni estate le città tornano a essere popolate dai diavoli. L’estate cittadina è il tempo del diavolo: sono sicuro che anche i tuoi monaci marsigliesi – che spero anch’essi felicemente su una spiaggia della Provenza in compagnia di procaci diavolesse russe – te lo confermeranno. L’estate delle città, ma forse più ancora di quelle della bassa piemontese da Valenza a Tortona, da Alessandria sino a Nizza, sono luoghi di diavoleidi. Forse è per questo che bisogna mandare tutto al diavolo e scappare. Se non a Kislovodsk, almeno nella vicina Liguria, ad esempio, dove ti spero ora, MS in bocca, mentre ti avvii ai bagni meditando sulle notizie, utili?, futili?, del giornale quotidiano. Buono scampolo di estate, Monsiù Parodi, ou lidin, ou lidin, oulidena …