COSE DELL'ALTRO MONDO

Riccardo Cristiano

Giornalista e scrittore

Addio a padre Nicolàs, un gesuita che aveva molto da dire.

 

Addio padre Nicolàs. Preposito generale della Compagnia di Gesù, padre Nicolàs è stato per me una folgore. Innanzitutto perché é apparso all’improvviso e brevemente nella mia vita, per via di un’intervista, ovviamente di pochi minuti. Tre domande si convenne, dopo il suo intervento  all’incontro con i migranti promosso nella chiesa del Gesù dal Centro Astalli. Ma quelle tre risposte mi hanno segnato. Le ritrovo, in buona parte, in un’intervista molto più ricca e ampia che ha rilasciato a padre Antonio Spadaro, che il direttore de La Civiltà Cattolica ha ripubblicato in queste ore nelle quali si è saputo della sua scomparsa  e mi piace presentarle qui, per aiutare a dire che padre Nicolàs aveva davvero da dire.

La mia mia prima domanda, visto che ci trovavamo tra tanti migranti, fu su di loro. E per un piccolo giornalista da tanti anni attratto dal nomadismo la sua risposta fu sorprendente, affascinante. Ovviamente io non gli confessai questa mia attrazione, peraltro molto superficiale, ma mi sorprese il suo cominciare dicendo: “La civiltà è un manufatto di migranti e chi meglio lo può apprezzare sono i nomadi”, mi disse qualcosa di simile se ricordo bene, e per spiegarsi meglio aggiunse che senza migrazioni non ci sarebbe il mondo, che non è una sommatoria di mondi, ma un mondo, frutto di intrecci, di incontri, di scambi e di diversità. Questo concetto lo ho ritrovato molto più ampio e interessante nell’intervista di padre Spadaro. Eccolo: 

“D.Emerge con forza il problema delle migrazioni. Qual è la giusta prospettiva dalla quale guardare al fenomeno? 

R. Quella del Papa. C’è una situazione di sofferenza e di esclusione; ma siamo umani, dunque capaci di solidarietà e compassione, e di conseguenza sentiamo nostra questa situazione, e cerchiamo insieme una soluzione futura che aiuti davvero tutti. Davanti a soluzioni parziali, comunque vogliamo condividere ciò che abbiamo. Finché non troveremo la soluzione completa e definitiva, possiamo condividere, sebbene queste risposte non siano facili. Dobbiamo sempre ricordare che la comunicazione tra le varie civiltà avviene proprio attraverso i rifugiati e i migranti. Il mondo che conosciamo si è sviluppato così. Non si è trattato soltanto di aggiungere culture a culture: è avvenuto un vero e proprio scambio. Anche le religioni si sono diffuse così. I migranti ci hanno dato il mondo, senza il quale saremmo chiusi dentro la nostra cultura, convivendo con i nostri pregiudizi e con i nostri limiti. Ogni Paese corre il rischio di rinchiudersi in orizzonti molto limitati, molto piccoli, mentre grazie a loro il cuore può aprirsi, e anche il Paese stesso può aprirsi a dinamiche nuove. 

D.Ma questo non implica vedere il mondo in maniera differente? 

R.È giunto il momento in cui si deve pensare l’umanità come un’unità e non come un insieme di tanti Paesi separati tra loro con le loro tradizioni, le loro culture e i loro pregiudizi. È necessario che si pensi a un’umanità che ha bisogno di Dio, e che ha bisogno di un tipo di profondità che può venire soltanto dall’unione di tutti. Con l’Enciclica «Laudato si’» il tema dell’ecologia è diventato parte integrante della dottrina sociale della Chiesa. La Compagnia ha avuto molto a cuore in questi ultimi anni il tema ecologico. Qual è stata la sua personale reazione a questa Enciclica? Credo che l’intervento del Papa sia stato tempestivo e che il tema non potesse attendere oltre. Era davvero urgente. Tutti abbiamo bisogno di una nuova consapevolezza per accogliere positivamente le iniziative che stanno sorgendo dovunque a tutela del creato. In particolare mi colpisce il legame che il Papa pone tra la natura e i problemi dei poveri, che sono i primi a subire le conseguenze della nostra incuria. 

La mia seconda domanda riguardò il suo confratello Francesco. Era stato eletto da un paio d’anni, credo, Jorge Mario Bergoglio, e io mi limitai a chiedergli perché mettesse in crisi tante vecchie certezze creando però tanti nuovi fermenti, interessi. Lui mi rispose che nel Vangelo Gesù dice di essere la Via, la Verità, la Vita. Ma alla Chiesa Occidentale ha sempre interessato prioritariamente la Verità, a quella africana, la Vita, che possiamo vedere nella famiglia, gli anziani, i figli e così via, e a quella orientale la Via. Bergoglio è interessato prioritariamente alla Via, soggiunse con un sorriso che presumeva la domanda seguente, “cioè”? La Via ha chiaramente molto a che fare con le filosofia orientali: meditazione, yoga, credo che senza ricerca della Via  non si capiscano. Ma io prima di dirgli “cioè?” mi ricordai del nuovo papa e dei suoi continui riferimenti all’orizzonte… Poi dissi “cioè?” . Non so più dire come mi  rispose padre Nicolàs, ma in me la sua risposta rimane un qualcosa di simile a questo: “cercare come avvicinarsi a Gesù.” 

Mi ha colpito riuscire finalmente a capire cosa mi disse padre Nicolàs leggendo l’intervista a padre Spadaro: “ un vescovo giapponese era solito dire: «Gesù ha detto: Io sono la Via, la Verità e la Vita. La maggior parte delle religioni asiatiche sono religioni o spiritualità della Via: scintoismo, confucianesimo, buddismo, kendo, aikido, eccetera, ma la maggior parte dei missionari occidentali sono venuti a predicare e a parlare della Verità». In sostanza non c’è stato vero incontro con il Giappone. Quanto più viaggio in giro per il mondo, tanto più penso che quel vescovo avesse ragione: l’Asia è la Via; l’Europa e gli Usa si preoccupano della Verità; l’Africa e l’America Latina sono Vita e mantengono vivi i valori (amicizia, famiglia, bambini ecc.) che in altre parti del mondo abbiamo dimenticato. Per noi gesuiti è significativo che — se ben capisco — sant’Ignazio fosse più interessato alla Via, cioè a come crescere ed essere trasformati in Cristo, che ad altre cose. La sfida, per noi cristiani, è che abbiamo bisogno di tutti, di tutte le sensibilità di tutti i Continenti, per raggiungere la pienezza di Cristo, che è anche la pienezza della nostra umanità. Questa visione è presente dietro tutti gli appelli di Papa Francesco a favore di migranti e rifugiati.”

Quella risposta comunque mi aprì un mondo nuovo è mi consentì per la prima volta in vita mia di porre a un religioso così importante la domanda che non avevo mai fatto, ma che avrei sempre voluto fare: “ mi vuol dire che che non esiste solo un modo per essere buoni cattolici, quello di credere che sono i credenti a sapere tutto di Dio?” Avevo osato liberarmi da quella domanda, ora cosa sarebbe successo? Avevo esagerato in franchezza? L’ho visto sorridere, lo chiamarono, ero andato oltre col tempo accordatomi, diversi altri colleghi dovevano intervistare padre Nicolàs. Mi ha fatto immensamente piacere quel sorriso tutto nuovo, non di circostanza, il suo “allora ne riparleremo.” E trovare nell’intervista a padre Antonio Spadaro questa affermazione: “Sullo sfondo c’è la coscienza — a volte dimenticata o offuscata — che Dio è un mistero, anzi «è il mistero dei misteri». È evidente che, se ci crediamo, non possiamo considerarci in possesso dell’ultima parola su Dio e su tutti i misteri in cui ci dibattiamo: la persona umana, la storia, la donna, la libertà, il male e così via. Il nostro pensiero è sempre «incompleto», aperto a nuovi dati, a nuove comprensioni, a nuovi giudizi sulla verità ecc. Abbiamo molto da imparare dal silenzio dell’umiltà, dalla semplice discrezione. Il gesuita, come dissi una volta in Africa, deve avere tre odori: di pecora, cioè del vissuto della sua gente, della sua comunità; di biblioteca, cioè della sua riflessione profonda; e di futuro, cioè di un’apertura radicale alla sorpresa di Dio. Questo, credo, è ciò che può fare del gesuita un uomo dal pensiero aperto.”

Addio padre Nicolàs, gesuita che aveva molto da dire.

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