Quest’anno segna il trentesimo anniversario della mia decisione di provare a capire qualcosa dell’islam, dal giorno del nostro incontro all’aeroporto di Riad. Ci arrivavo senza alcun bagaglio di conoscenza, né scolastica né professionale: fino ad allora al Giornale Radio mi ero occupato di est europeo, da Gorbaciov al muro di Berlino e oltre. Ma verso la fine del 1990, dopo l’invasione del Kuwait, il direttore mi chiamò e mi disse: il collega che si occupa di Medio Oriente si è ammalato, la settimana prossima vai a Riad.
Ovviamente era una corsa in ritardo contro il tempo, io ero certo che l’attacco ci sarebbe stato, quindi dissi “va bene, ma mi servirebbe qualche giorno in più per prepararmi, non so niente di quel mondo e credo che sarà un viaggio lungo”. Niente da fare, partii di fretta e furia, quel giorno stesso mi mandarono a chiedere il visto.
Arrivando a Riad trovai un aeroporto deserto, ero solo. Ben presto però mi venne incontro un signore in completo grigio scuro, camicia bianca, cravatta nera: moto elegante, si scusò per l’assenza di taxi in aeroporto e mi assicurò che un’auto sarebbe arrivata in pochi minuti. Al termine dell’attesa, davvero breve, mi chiese se mi dispiaceva condividere la corsa con un milite che tornava dal fronte e che doveva raggiungere una caserma antistante l’albergo dove era alloggiato il comando militare americano dove, come giornalista, avrei dormito seguendo i loro briefing : io dissi “certo che non è un problema, anzi, è un piacere”. Mi sembrava l’occasione migliore per farmi raccontare qualcosa, non segreti militari ovviamente, ma tutto quel che avrebbe potuto dirmi e che mi avrebbe aiuto a capire dove ero arrivato, in che Paese.
Quando salimmo in macchina mi accorsi che era una limousine e lui, il milite, si mise a sedere sul sedile davanti al mio. Non mi guardò neanche, prese dalla tasca della sua sahariana un librino, molto piccolo, e cominciò subito a leggere con grande attenzione, tenendo il piccolissimo volume a pochi palmi, forse due, dagli occhi.
Dopo circa un quarto d’ora sentii il suo sguardo alzarsi, muoversi: mi guardò e all’improvviso mi disse: “Do you know Muhammad?” Lo guardai con sorpresa, e tanta indecisione. Avrei voluto dirgli che la mia intenzione era di fare conversazione proprio per farmi un’idea, ma lui si era messo a leggere il suo librino… Decisi però di seguire la sua strada, quel clima freddo, quella distanza tra di noi mi aveva messo un po’ d’imbarazzo addosso e così gli dissi: “Onestamente no, non ho nessun rapporto in città, è la prima volta che metto piede in questo Paese…”
Lui rimase immobile, non mosse un solo nervo, un ciglio, nulla. Poi riprese il suo librino e mentre si immergeva di nuovo nel suo silenzio capii, sobbalzando: “no, non parlava di un pizzettaro romano che poteva essere rientrato in patria, o di un suo cugino che nelle mie fantasie poteva essere venuto a Roma in vacanza. Parlava di Muhammad il profeta, quello del Corano, il librino che sta leggendo !!!!!!!”
Dovevo essere arrossito, provai a riprendere il discorso ma quel soldato non mi ha guardato più, fino a quando arrivammo a destinazione. Scendendo ebbi la tentazione di non salutarlo, ma cambiai idea e gli dissi: “non so nulla dell’islam ma le assicuro che farò di tutto per capire chi sia stato il Muhammad di cui mi ha chiesto”.
Trent’anni dopo non posso dire di aver fatto tanti passi avanti, ma credo che vincere la tentazione di non salutarlo, assicurando che avrei fatto di tutto per capire qualcosa dell’islam sia stata la risposta giusta, anche se so che gli esiti non sono incoraggianti. Ma capire i musulmani, anche quelli come lui, è importante, per me, ancora oggi. E quanto accadde durante i quattro mesi che ho trascorso a Riad è importante.
Avevo 35 anni e stare quattro mesi in un posto come Riad non si rivelò facile. La mattina, quando arrivava l’ora d’aria e uscivamo dal grande albergo, andavamo sempre ad un centro commerciale rimasto aperto. La nostra oretta lì dentro cominciava sempre dal piano degli alimentari. Un collega che era lì già da molto tempo mi disse di seguirlo al banco dei surgelati e di stare fermo, accanto a lui. Quando una saudita si accostò lui fece per prendere una busta e lei lasciò cadere lì accanto un bigliettino con scritto un numero di telefono e un nome. Così mi accostai al problema dei regimi e della repressione che ovviamente giustificavano con tante scuse, compresa quella dell’islam. Buon anno.