11 giugno 2014 – Va in onda stasera alle 21.10 su Sky Cinema 1 HD e su Sky Arte HD (e il 14 giugno alle 21 su History HD) “Quando c’era Berlinguer”, il lungometraggio firmato da Walter Veltroni che a trent’anni dalla scomparsa del leader del Pci, raccoglie testimonianze e immagini di repertorio sulla sua figura. Tra le molte iniziative per ricordarlo, domani 12 giugno a Bari (cinema Galleria, ore 18.30) Radio Città Futura Bari presenta il docufilm “Ritorno a casa” di Massimiliano Coccia, Elisabetta Ranieri e Renato Sorace. Nel film, Berlinguer viene raccontato da due persone che lo conobbero bene, l’autista Alberto Menichelli e l’addetto alla sicurezza Roberto Bertuzzi. Seguirà un dibattito con Antonio Decaro, Pasquale Cascella, Dario Ginefra, Vito Angiuli e Renato Sorace.
Tanta voglia di Enrico Berlinguer. Il prossimo 11 giugno ricorreranno i trent’anni della scomparsa del segretario generale del Partito comunista italiano (lo fu dal 1972 al 1984). Sin dall’ultima Mostra di Venezia alcuni film e spettacoli ne vanno rievocando la figura di politico onesto – quasi un ossimoro, tocca dirlo – e innovatore. Un leader «aristocratico» e discreto nel carattere, nondimeno carismatico e coraggioso nel battere strade «lontane da Mosca»: l’«eurocomunismo» o il «compromesso storico» con la Democrazia cristiana, seppur concepito nel solco della tradizione togliattiana. Tentativi di superare quel «fattore K» (dal russo Kommunizm) di un grande partito comunista che secondo Alberto Ronchey bloccava la democrazia in Italia, inibendo l’alternanza al governo per ragioni geopolitiche internazionali. Il documentario La voce di Berlinguer di Mario Sesti e Teho Teardo, dopo l’anteprima veneziana è uscito da poco in Dvd. S’inizia con le immagini del comizio – il 7 giugno 1984 a Padova – durante il quale il segretario del Pci venne colpito dall’emorragia cerebrale che gli sarebbe stata fatale. Aveva 62 anni. Al centro del breve film c’è appunto la sua voce, che incardinò l’azione degli ultimi tempi sul bisogno di rigore morale, ben prima di Tangentopoli. Mentre è ancora in alcune sale Quando c’era Berlinguer, il docu-film di Walter Veltroni che prende le mosse dalla vittoria al referendum sul divorzio nel maggio 1974 e si chiude con le immagini dei funerali di Berlinguer in piazza San Giovanni, a Roma (un topos della memoria collettiva).
Berlinguer. I pensieri lunghi s’intitola invece lo spettacolo con Eugenio Allegri, per la regia Giorgio Gallione, da giovedì scorso e anche stasera in scena per la stagione della «Tana» nel castello di Barletta. Attraverso la personalità di Berlinguer, l’affabulazione teatrale rivisita quarant’anni della nostra storia. Non è questione di nostalgia, fa intendere Allegri, giacché Berlinguer affiora alla ribalta come il primo comunicatore televisivo, capace di conquistare la mitica «base» comunista e di «bucare il video» a dispetto del sublime sfottò dell’imitatore Alighiero Noschese: «Abbiamo scritto una lettera di dissenso al compagno Breznev, però aspettiamo ad imbucarla». Certo, questo diffuso interesse retrospettivo rivela in filigrana un paradossale rimpianto per una storia che si sarebbe conclusa traumaticamente nell’89 con il crollo del Muro di Berlino. Rovine mai elaborate a sufficienza dalla sinistra italiana: un lutto «carsico» all’opera, persino in vicende molto recenti. Viepiù è interessante indagare aspetti e uomini che allora furono meno in luce, in modo da cogliere le contraddizioni di quegli anni e magari certi inconsapevoli presagi del futuro.
«Ugo Baduel era per me il comunismo dal volto umano, non monolitico, non ossessionato dalla lotta di classe; anzi, un comunismo gaudente». A parlare è Sandro Gerbi, storico e giornalista, biografo alacre di un’«altra» Italia: fiera, solitaria e civile. L’Italia che – libro dopo libro – si palesa e rivive nelle ricerche dedicate a Montanelli, Mattioli, Cuccia, Piovene, Colorni, Enriques, oltre che al padre Antonello Gerbi, economista in esilio peruviano dalle leggi razziali fasciste, raffinato letterato e americanista. Gerbi è fra gli amici e studiosi che si sono dati convegno per ricordare Baduel nel venticinquennale della morte, martedì 15 aprile a Roma. Racconta: «Conobbi Ugo nel 1974 a Panarea dove trascorreva le vacanze estive con la compagna Laura Lilli, poi sposata. Aveva dieci anni più di me e un bel gommone. Sonnecchiava sulla spiaggia perché amava tirare tardi. Gli piacevano i bei vestiti, il buon cibo, i luoghi ameni, sebbene fosse sempre squattrinato, considerando che oltretutto lasciava al Pci un terzo dello stipendio di giornalista dell’”Unità”».
Baduel era editorialista, inviato speciale e «resocontista ufficiale» dei discorsi di Berlinguer, dei quali stendeva i «verbali» in pagine intere del quotidiano comunista. Divenne anche uno degli uomini più vicini al segretario, un confidente forse secondo solo al «catto-comunista» Antonio Tatò. E Berlinguer si avvalse dello sguardo nitido e dell’approccio libertario del compagno di viaggio. «Ugo era nato a Perugia, giovane dossettiano, poi cattolico e comunista – ricorda ancora Gerbi -, si era avvicinato al Partito giusto nel 1956 dei fatti d’Ungheria quando non pochi se ne allontanavano. Fu sempre dalla parte dei diseredati, tuttavia con una concezione laica della politica, senza particolare simpatia per l’Urss. Era un liberal che disorientava per la sua indipendenza politica sia i compagni più ortodossi sia gli amici della sinistra non marxista, come me, che ai tempi ero socialista vicino alla corrente di Riccardo Lombardi».
Gerbi serba anche memorie più personali di Baduel, che svela con pudore, quasi con ritrosia. «Incontrai dapprima Laura, figlia del grande giornalista Virgilio Lilli. Io allora lavoravo nello studio di Renato Cantoni e lei era al “Globo” diretto da Pirani. Poi presi a incontrare Ugo a Roma dove stava lui o a Milano dove vivevo io, una o due volte al mese. Fu sua la prima inchiesta sulle logge massoniche deviate, nel novembre dell’80, qualche mese prima che venisse diffuso l’elenco degli iscritti alla P2». Baduel viaggiava parecchio per il giornale, specialmente nel Sud: la Napoli di Antonio Gava, i bambini «in affitto» nella Puglia murgiana, il caporalato in Sicilia… La vedova Laura Lilli testimonia: «Questo fa un inviato dell’”Unità”: va venticinquemila volte nella vita a Matera per discutere con la gente che non vuole più vivere nei Sassi» Vorace di esperienze vitali e, tra l’altro, accanito fumatore, Baduel morì a soli 55 anni, il 22 aprile 1989. Nel 1992 appare postumo per i tipi di Sellerio il romanzo-memoir L’elmetto inglese: l’arrivo degli alleati visto da un ragazzino che era stato «fascista» e improvvisamente scopre la libertà.
«Ai funerali di Ugo – ricorda Gerbi – fra tanti comunisti, mi stupii di vedere Paolo Baffi, ex governatore della Banca d’Italia, un liberale einaudiano. In realtà, Baffi era divenuto amico di Baduel grazie a Tullio Riccio, vicedirettore generale dell’Istituto, padre della critica d’arte Bianca Riccio che era stata la prima moglie di Ugo e la madre di sua figlia Alessandra, anche lei oggi giornalista». Già, il comunista che non mangiava i bambini aveva sedotto persino un uomo del capitale. Berlinguer e Baduel, un «fattore B» ante litteram mancato troppo presto a una sinistra che da tempo non sa farsi amare.
Articolo apparso sulla “Gazzetta del Mezzogiorno” del 12 aprile 2014
Anche D’Alema e Veltroni ricordano Baduel il 15 a Roma – Il prossimo 22 aprile cadrà il venticinquesimo anniversario della morte di Ugo Baduel (Perugia, 1934 – Roma, 1989), giornalista e scrittore, firma dell'”Unità” per quasi trent’anni. Per l’occasione si terrà una giornata di studio e ricordo a Roma martedì 15 aprile alle 10 presso la Società Dante Alighieri in Piazza Firenze, 27. Interverranno Massimo D’Alema, Sandro Gerbi, Enzo Golino, Piero Sansonetti, Aldo Tortorella, Chiara Valentini. La moglie, Laura Lilli, e la figlia Alessandra Baduel lo ricorderanno in chiave personale. Verrà letto un ricordo di Ugo Baduel scritto da Walter Veltroni. Modererà Simonetta Fiori.