LA BELLA CONFUSIONE

Oscar Iarussi

Giornalista e saggista.

Cinema pro Memoria / 1 – Il grido della terra promessa

            Il grido della terra attraversa il Mediterraneo e contribuisce a prefigurare il nascente Stato di Israele. È un film girato nel 1948 (uscì nel ‘49), fin qui considerato «minore» nelle storie del cinema italiano, dominato allora dal neorealismo dei Rossellini, De Sica, Visconti, Zavattini. Tuttavia, visto o rivisto oggi, esso acquisisce un rilievo nell’ottica della Puglia terra di approdi e di accoglienza, da tempo scandagliata dallo storico Vito Antonio Leuzzi e negli ultimi anni valorizzata dalle Istituzioni. Presentato a Bari nel 2007 per il «Giorno della Memoria», Il grido della terra nel 2008 fu restaurato dalla Cineteca Nazionale e inserito nella retrospettiva veneziana «Questi fantasmi: cinema italiano ritrovato (1946-1975)», a cura di Tatti Sanguineti e Sergio Toffetti.

La regia è dell’abruzzese Duilio Coletti (1906-1999), autore eclettico, dal deamicisiano Cuore a Miss Italia con Gina Lollobrigida e Constance Dowling che avrebbe fatto perdere la testa a Pavese fino al suicidio, da È arrivato l’accordatore con la giovanissima Sophia Lazzaro (presto Loren) al kolossal Lo sbarco di Anzio. Coletti era un sapiente artigiano del cinema, non scevro di enfasi bellicistica e di una certa vena anti-britannica. A produrre Il grido della terra fu la «Lux Film» di Riccardo Gualino, capitano d’industria assai colto (fondatore della Snai, sarebbe diventato vicepresidente Fiat), confinato a dal fascismo a Lipari prima di riparare a Parigi. Coletti si ritrovò in contatto con Carlo Levi, che tra l’altro gli avrebbe presentato l’aspirante sceneggiatore Rocco Scotellaro (il sindaco poeta lucano di Tricarico), e con il costumista Emanuele Luzzati, già esule in Svizzera, amico del pittore Onofrio Martinelli. Lo scrittore torinese ed ebreo di Cristo si è fermato a Eboli e il futuro sodale felliniano Tullio Pinelli impressero al soggetto un’attualità politica ben di là dalla matrice melodrammatica (co-sceneggiatori Giorgio Prosperi e Alessandro Fersen).

Il film, organizzato dal pugliese Domenico Forges Davanzati, fu girato nei campi profughi di Bari Palese (soprattutto) e di Trani con l’ausilio di centinaia di profughi quali comparse (si ascoltano canti in yiddish), quindi nei vicoli di Bari vecchia per simulare quelli di Gerusalemme e Haifa, e lungo le coste pugliesi per la partenza e l’approdo della nave colma di esuli ebraici diretti in Palestina nel 1947 (il celebre kolossal Exodus di Otto Preminger con Paul Newman è del 1960).

Cosa colpisce oggi del film? Il serafico e scioccante «per noi palestinesi» pronunciato dal divo Andrea Checchi (Arié), ufficiale dell’Haganah, l’esercito clandestino ebraico, un «riformista» rispetto al «terrorista» sionista Luigi Tosi (David Taumen) che finirà impiccato dagli inglesi. Una sorte, questa, condivisa dall’ufficiale di Sua Maestà preso in ostaggio dalla guerriglia (la Palestina era un protettorato britannico prima della nascita di Israele). E dire che i tre militari si erano battuti insieme contro i nazisti! In proposito, è forte il passaggio in cui si allude al prezzo morale pagato da alcuni, fra i quali Marina Berti (Dina), per salvarsi dalla Shoah. In Il grido della terra figurano tra gli altri Cesare Polacco, Arnoldo Foà e Vivi Gioi. Quest’ultima sarebbe tornata in Puglia – ad Alberobello – per un altro film sui campi profughi, Donne senza nome – Le Indesiderabili (1950) dell’ungherese Geza von Radvanyi (fratello di Sándor Márai, lo scrittore di Le braci). Una storia a episodi con al centro la difficile gravidanza di una vedova jugoslava. Insomma, la Puglia passaggio dell’esodo, tragica essenza del XX secolo dal dopoguerra alla «Vlora».

Articolo pubblicato sulla “Gazzetta del Mezzogiorno” del 26 gennaio 2014

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