Bisogna riconoscere che con l’elezione a larghissima maggioranza, solo 7 voti sotto i due terzi dei 1009 grandi elettori, ha vinto Matteo Renzi, superando quella che si presentava come la prova più rischiosa (anche più dell’Italicum, anche più del Jobs Act) per la natura della partita, il Quirinale, che non per caso è costata al penultimo segretario del Pd, Bersani la peggiore sconfitta della sua vita.
Ha vinto Renzi, sì, ma non perché la scelta di Mattarella sia stata la migliore tra quelle possibili dal punto di vista delle qualità dei candidati. Qui e altrove di buone candidature ne sono state indicate altre, a cominciare da quella di Giuliano Amato, una figura la cui eccellenza nella cultura giuridica e la cui competenza istituzionale sono fuori discussione, senza per nulla diminuire la indiscutibile preparazione di Mattarella. L’ipotesi di Amato si imponeva sopra le altre per il credito europeo e internazionale (un bene di cui la classe politica italiana continua a difettare e di cui lo stesso governo, anche se ora molto più in salute rispetto all’epoca del Cavaliere primo ministro, continuerà ad aver bisogno). In quel senso Amato avrebbe rappresentato una continuazione senza scosse del lavoro prezioso, diciamo pure quasi provvidenziale, svolto da Napolitano in una delle fasi più tempestose per le sorti italiane; un momento che ora si tende a sottovalutare e a trasformare, nelle fantasiose ricostruzioni complottistiche, come il frutto di una congiura “per ammazzare il Gattopardo”. Con lo «spread» a 528 alla fine del 2011 i complotti apparivano per quello che sono sempre, teorie consolatorie, forme di intrattenimento per distrarre dalla materia dolorosa: l’abisso del debito, il ridicolo di un primo ministro che straparlava di ristoranti pieni, di economia prospera e di sgravi fiscali senza copertura, l’inaffidabilità di un uomo di governo che non veniva più rispettato negli incontri internazionali.
Il Presidente della Repubblica è riuscito a tamponare questo deficit di serietà con la sua presenza a Bruxelles, a Washington, a Strasburgo, e anche in patria inventando soluzioni di salvataggio sull’orlo del precipizio, quando non c’era neppure il tempo di ricorrere alle elezioni. Rinunciando ad Amato, Renzi ha dunque trascurato un notevole vantaggio che avrebbe potuto tornare utile a lui e al paese intero, lo stesso che avrebbe potuto mettere in gioco Emma Bonino, penalizzata dalla malattia, proprio alla vigilia della elezione, e da altri fattori, diciamo così, di geometria politica. Mattarella è stato salutato dal Financial Times come un «nemico della mafia», e di fatto ha molte doti a disposizione, non solo la sua storia famigliare, per riscattare l’immagine della Sicilia e dell’Italia nel mondo, ma dovrà indubbiamente lavorarci perché meno conosciuto, nonostante la sua lunga storia di governo, nonostante la responsabilità della difesa, con D’Alema e Amato durante la guerra della Nato contro Milosevic.
L’elezione di Mattarella è, dicevamo, una vittoria politica e personale di Renzi non solo perché c’è un lieto fine, quello del consenso ampio, che vede fuori gioco soltanto la Lega dell’irriducibile provocatore Salvini, che fa di questa esclusione la sua merce pregiata, ma anche il M5S che invece è rimasto bloccato nel surplace in attesa di piazzare quel colpo a sorpresa, che invece non è mai arrivato, confermando una vocazione ormai di lungo corso alla irrilevanza (un’altra «tranvata», lamentano i critici interni). La vittoria di Renzi è resa più evidente dal fatto che il candidato scelto è quello che ha di più «stirato» le varie parti in gioco, spostandole rispetto alle proprie iniziali preferenze, e producendo il massimo di consensi, anche se non entusiasmando nessuna delle singole componenti, salvo l’area cattolica del Pd. La minoranza dei Dem naturalmente non ha avuto altra scelta che quella di fare buon viso a una candidatura di buona qualità, anche se non era la sua prima scelta (Prodi, che però Berlusconi non avrebbe mai votato, o Amato, sul quale il Cav aveva già dato il suo consenso). Lo stesso si può dire per Sel. E anche per il NCD di Alfano, costretto a votare Mattarella per evitare il precipizio di una crisi. E in fin dei conti anche la scheda bianca di Forza Italia è una forma di rispettoso «ni», che prelude a una rapida sepoltura delle asce di guerra nei confronti del Quirinale e di Renzi, salvo il riaccendersi della guerriglia interna degli oppositori di Berlusconi.
Vittoria di Renzi, dunque, perché ha spinto tutti quanti gli attori decisivi (Lega e M5S non lo sono) a votare un presidente voluto soprattutto da lui e accettato giocoforza dai soggetti in gioco, perché ha costretto tutto il campo a riorientarsi intorno alla sua regia, a riconoscere la sua centralità, come il parametro della politica italiana di questa fase. Non per una sua arroganza o prepotenza, ma per la abilità nel far valere i propri punti di forza e nell’individuare le debolezze degli altri. Una conseguenza, non secondaria, della vittoria è la pacificazione delle relazioni con il Pd, che nelle ultime settimane erano giunte molto vicino al punto di rottura.
Quanto durerà questa nuova situazione? Intanto la presidenza ha davanti sette anni e non v’è dubbio che la centralità di Renzi nel portare al successo Mattarella avrà sul capo del governo una influenza benigna, anche se sbaglia di sicuro chi immagina un Quirinale addomesticato: l’addomesticamento è impossibile per come la Costituzione disegna i poteri del presidente e anche per come la sua biografia descrive la figura e il carattere di Mattarella. I problemi non tarderanno a presentarsi con i nuovi passaggi, ancora due, della legge elettorale alle camere. È possibile che Berlusconi sia meno generoso nei suoi soccorsi parlamentari per sostituire i voti mancanti quando la minoranza del pd dovesse tornare di malumore anti-Renzi. È possibile che tra il malcontento nella formazione di Alfano, la nuova aggressività della Lega e i conflitti in Forza Italia, il centrodestra entri in una fase di ulteriore instabilità con un Berlusconi sempre più debole. C’è qui un vuoto potenziale che potrebbe far esplodere gran parte della scena, mentre certo Renzi potrebbe continuare a trarne benefici elettorali, che alla fine dei conti mettono a tacere anche le rimostranze della sinistra del Pd.
Intanto, rifatta la legge elettorale, e realizzata la riforma del Senato non si potrà evitare di mettere mano a quelle dolorose riforme strutturali, privatizzazioni, pubblico impiego, attacco allo stock del debito, che riattizzeranno i conflitti politici. In attesa della ripresa, se mai verrà.
Ma questi sono i giorni di un successo di Renzi, un successo che, visti i rischi evocati, di elezioni anticipate, mentre le turbolenze della Grecia e dell’euro sono alle porte, è anche un successo per tutti. Il peggio è per il momento scongiurato. E dunque auguri al presidente Mattarella. E auguri a tutti noi.
Benvenuto Presidente Mattarella ! Amato era senza dubbio all’altezza del compito e godeva di prestigio internazionale ma l’abbraccio di Silvio da cui non poteva svincolarsi gli è stato fatale…