Signor Presidente, le siamo particolarmente grati per aver voluto condividere con noi, questo pomeriggio, il ricordo di un grande amico, di cui ripercorreremo oggi i tre grandi temi che hanno segnato la sua vita di studioso, ed anche (perché no?) di polemista: il tema della industrializzazione del nord nella storia d’ Italia, e quello del dualismo nord-sud; Cavour e l’interpretazione del Risorgimento; infine quello che in termini “alla Cafagna” si chiama la grande slavina, e che riguarda la partitocrazia e il passaggio dalla prima alla seconda Repubblica.
Pochi forse sanno che ricordarlo qui ha anche un senso per l’Enciclopedia Italiana, di cui fu collaboratore illustre, scrivendo per l’Enciclopedia del Novecento una voce molto bella (“Industria”), che è la storia non solo dell’industria italiana, ma delle dottrine sul processo di industrializzazione, che uscì nel 1978 e che lui stesso aggiornò vent’anni dopo nell’appendice uscita appunto nel ’98 con una nuova, più breve, voce, di cui mi colpì sempre la bibliografia, tutta successiva al ’78: non rivendette ai lettori dell’appendice, cioè, nulla di ciò che essi avevano già acquistato e letto nella voce originaria, il che è particolarmente apprezzabile.
In quella voce diceva parecchie delle cose che avrebbe detto poi, e che segnavano i tratti di un personaggio. Io l’ho già ricordato quando lo salutammo subito dopo la sua scomparsa: un personaggio davvero straordinario, che ci ha sempre insegnato a saper leggere i fatti del passato, e anche i fatti del presente, al di fuori degli stereotipi, dandoci chiavi di lettura alle quali non immediatamente si è predisposti ad arrivare, ma di cui ci si accorge che sono tra le chiavi di lettura più importanti.
Questa sua caratteristica, che ha manifestato in tantissimi dei suoi scritti, talvolta spiazzava. Una piccola cosa consentitemela: per chi ha ricostruito la vicenda del Risorgimento come una vicenda tutta segnata dal vibrare degli ideali, importantissimi nel segnare una generazione e nel darle la forza di preparare il futuro, è spiazzante l’accento che mette Cafagna sull’assenza, all’inizio, di forti motivazioni economiche accanto a quelle ideali. Ma quella fu una tara, un difetto di solidità delle processo risorgimentale, la cui denuncia è assolutamente sacrosanta.
Del resto la lettura che lui ha dato di Cavour, su cui ci soffermeremo oggi, è una lettura che le celebrazioni del 150° hanno consacrato come quella più pertinente nel cogliere i tratti del personaggio e insieme di un processo di unificazione che tutto dovette alla sua capacità di mettere insieme contributi diversamente orientati e diversamente motivati: con le sue straordinarie invenzioni immaginifiche e anche lessicali, Cafagna lo descrive, nell’apertura del libro, con l’analogia tra Cavour e il regista di Fellini otto e mezzo, quello che fa venir fuori il film dal combinarsi di ciò che gli attori si dicono senza un copione precostituito.
So che lei, Presidente, ci dovrà lasciare dopo averci detto qualcosa, ma prima dell’ultima sessione. Ci terrei però a leggere davanti a lei due passi dell’ultimo capitolo de La grande slavina, quell’ultimo capitolo che Salvati consiglia ai lettori di leggersi anche oggi, perché è impressionante, oltre che come testimonianza dello stile, delle analisi di Cafagna, della straordinaria rispondenza di ciò che qui scriveva anche al tempo in cui ci troviamo: Quando scriveva che un’opinione pubblica è una cosa delicatissima, perchè «basta una goccia di aceto per mandare all’aria un buon vino. […] Irrompano nel campo diffusi interessi lesi, esagitazioni ingenuamente smisurate e tutto il linguaggio delle reciproche comunicazioni ne risulterà alterato. […] Di colpo succede allora che cominciano a prevalere coloro che roteano gli occhi, strillano scompostamente, agitano forche, brandiscono nodi scorsoi. […] Un processo degenerativo di questo tipo si è messo in moto in Italia. […] Si arriverà a giudicare la politica stessa come una forma di crimine […]. Bisognerebbe fare un esame di coscienza e fermarsi in questa rincorsa distruzionistica. Chiamo “distruzionismo” l’atteggiamento di chi finge di credere, o magari crede, che il piccone sia anche cazzuola, calce e mattone. Un aggeggio simile ancora non è stato inventato. […] Non è mai successo che la distruzione provochi d’incanto la ricostruzione. […] La crisi italiana è certamente gravissima, ma non indomabile, però il modo più sicuro per renderla ingovernabile sarebbe quello di lasciarla cavalcare selvaggiamente dalla rabbia e da una furia di vendetta». Sarebbe: c’è un condizionale, e nel condizionale speriamo.
Una persona straordinaria
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