Per chi è nato tra le macerie del Muro, o subito dopo, ci sono attributi del mondo semplicemente scontati: i viaggi, per esempio, virtualmente verso qualsiasi angolo del pianeta; la comunicazione tra pari, da impostarsi salvo strane eccezioni nella lingua franca di ogni latitudine, l’inglese; ma anche l’idea implicita di vivere dentro un sistema economico di fatto senza alternative. Sconcertante, ma nessuna di queste cose è sempre stata scontata. Per le generazioni precedenti, anzi, tutte e tre le considerazioni sarebbero state del tutto incomprensibili, perfino ingenue.
Eccola, la cesura reale, tangibile, nel costrutto mentale stesso di chi è venuto prima e chi dopo, che ha saputo produrre il crollo di un Muro, e del sistema che gli stava dietro.
L’Europa “adulta” nacque quella notte di trent’anni fa, o almeno ci provò. Rendere omaggio a chi rischiò tutto – la vita, il destino, il proprio grande o piccolo potere – per garantire alle generazioni successive la libertà è il minimo che si possa fare per non dimenticare quanto prezioso sia quel dono. Come papa Karol Wojtila, la cui delicatissima azione contribuì a “scongelare” il popolo polacco; come i protagonisti del pic-nic paneuropeo di Sopron, che indicarono la via; o come le vittime del Muro stesso, morte nei tragici tentativi di eludere i controlli Est-Ovest. Tre fra le tante storie rievocate – rispettivamente da Riccardo Cristiano, Marta Facchini, Lorenzo Monfregola – in questo Dossier speciale di Reset.
La libertà, dunque, è e resta l’architrave fondamentale del vivere comune europeo – e dovremmo ricordarcelo più spesso. Libertà fondamentali, naturalmente: di parola, pensiero, stampa, religione, associazione. Ma anche libertà “esterne”: quelle di circolazione di persone, beni, servizi e capitali su cui si è costruita la fortuna dell’Unione Europea, divenuta così l’area di libero scambio più estesa e florida al mondo. La risposta ideale alla Cortina di Ferro si chiama Erasmus, ed i suoi figli sono i cittadini europei del nuovo secolo. Eppure quello straordinario capitale pare oggi sbiadito. Là fuori, crollata ogni illusione di un “altro” sistema, anche il resto del mondo è diventato adulto, e decisamente più cinico, e l’Europa ha risposto richiudendosi in se stessa, spaventata.
Chi sa dire davvero oggi qual è il suo posto nel mondo, a livello politico e culturale?
Una risposta, a dire il vero, esiste: ce l’hanno ben chiara i nazionalisti di tutte le latitudini – da Donald Trump a Vladimir Putin, dai loro emuli delle “piccole patrie” europee sino allo stesso Xi Jinping. Tutti accomunati dal desiderio più o meno esplicito di derubricare l’Ue a folkloristico esperimento, spezzettarla sino a distruggerla, di modo da tornare alla politica di potenza che fa tanto a pugni col multilateralismo. La versione “interna” di quel modello, caso mai ci fossero dubbi, è proprio il laboratorio-Ungheria di Viktor Orbàn, unico Paese europeo degradato dall’osservatorio Freedom House a “parzialmente libero” dopo un decennio di aggressioni sistematiche al pluralismo politico, religioso e delle idee e a tutte le istituzioni indipendenti.
Davvero non siamo in grado di reagire a quest’aggressione spudorata a tutto ciò per cui si sono battute intere generazioni di europei?
Tramontata per limiti fisiologici l’era Tusk-Juncker a Bruxelles e quella, ben più potente, Draghi-Merkel dal cuore pulsante tedesco, diamo il giusto credito alla nuova leadership europea che s’insedierà, sorprese a parte, a breve. Al netto di qualche passo falso – come il portafoglio alla “difesa dello stile di vita europeo” attribuito al nuovo Commissario all’Immigrazione – va dato atto a Ursula Von der Leyen di aver delineato nel suo discorso d’intenti di fronte al Parlamento Europeo una visione “geopolitica” per l’Unione dei prossimi anni. Immaginando un suo ruolo ben più attivo ed incisivo sui grandi fronti globali, da quello tecnologico a quello ambientale, e forse anche nella più tradizionale politica estera.
Nell’autunno in cui il Mediterraneo intero è tornato a ricordare, a tutti, quanto sia travolgente la forza della partecipazione politica – quella nelle piazze vere, non digitali – non c’è occasione migliore per “ripassare” l’attrazione universale di quei due valori per cui berlinesi ed est-europei si batterono 30 anni fa: libertà e giustizia sociale. Se ci guardiamo attorno nel mondo, ci son ben pochi posti in cui questi siano osservati e garantiti quanto da queste parti – sino a quando ci terremo davvero. Quello sì, è il vero “stile di vita europeo”. Riempiamolo di sostanza, e nei prossimi trent’anni, se possibile, facciamo in modo diventi una conquista di tutti.