William Davies ha osservato che mentre il governo è molto propenso ad applicare il modello mutualistico ai servizi pubblici, esso non sembra interessato a estenderlo al settore privato. La risposta del Labour, sostiene, dovrebbe essere quella di abbracciare il mutualismo nei servizi pubblici ma di sostenerne anche l’estensione a tutta l’economia.
La tesi di Davies è importante, tuttavia se la sinistra intende rispondere sinceramente alla rinascita intellettuale della destra, occorre pensare aldilà dei modelli organizzativi che il mutualismo implica.
Per spiegarne il motivo è importante riconoscere che la concentrazione del governo sul mutualismo nasce non perché si ritenga che la John Lewis sia una grande azienda e neppure, come alcuni critici sottintendono, perché la mutualizzazione rappresenti un passo del percorso verso la piena privatizzazione.
Secondo il governo, il mutualismo nel settore pubblico fa chiaramente parte della propria agenda per una “grande società” assai più ampia. Ci si è ovviamente molto dilettati davanti all’evidente vaghezza del concetto. E c’è anche dell’ostilità rispetto all’idea poiché molti temono si tratti semplicemente di una copertura per un programma di tagli. Entrambe queste prospettive sono fuori luogo. Il concetto di “grande società” è semplice più che vago e ricco di significati più che cinico.
L’idea semplice al cuore della “grande società” è che certe funzioni, e aspetti di funzioni, che siamo abituati vengano espletate dallo Stato a nome di una cittadinanza passiva, debbano ora essere compiute dai cittadini stessi.
Ben lontana dall’essere una squallida copertura per i tagli, è un’idea che ha forti radici storiche nel pensiero conservatore e che venne aggiornata nei primi anni ’90 da leader di partito come David Willetts.
In realtà, Willetts era preoccupato non solo per uno Stato eccessivo ma anche per il modo in cui l’individualismo thatcheriano stava chiaramente facendo piazza pulita di attività pro-sociali, di istituzioni della società civile e di norme che consentivano tali attività.
L’idea di “grande società” è importante e crescerà probabilmente di risonanza per una serie di ragioni.
Innanzitutto, essa richiama una forte tendenza della cultura britannica a diffidare dello Stato e della gerarchia più in generale, e a favorire l’autonomia e l’iniziativa individuali e collettive. La nozione liberale secondo cui se un individuo o un gruppo vogliono progredire e fare qualcosa allora dovrebbero avere il diritto di farlo è forte nella mentalità britannica. Un politico sottovaluta a proprio rischio l’influenza di John Stuart Mill.
Ci sono ovviamente forti tendenze contraddittorie nella cultura britannica che coesistono simultaneamente come l’idea ampiamente diffusa secondo cui lo Stato è semplicemente un servizio a cui si possono fare richieste in cambio del pagamento delle tasse. Ma è proprio contro questa mentalità che si staglia l’idea di “grande società” che probabilmente pochi socialdemocratici appoggerebbero.
In secondo luogo, è certamente il caso che la spesa pubblica venga ridotta considerevolmente nei prossimi anni. È sbagliato pensare che questo indirizzo possa essere interamente sconfitto. Persino se il governo di coalizione fosse destinato a cadere e venisse rimpiazzato dal Labour, il nuovo esecutivo adotterebbe pressoché lo stesso livello di tagli in un periodo più lungo al massimo di soli due anni. Ovviamente le sforbiciate potranno ricadere in settori differenti e la tassazione potrà essere leggermente più elevata ma ci sarebbe ancora una significativa riduzione dei servizi pubblici.
La nostra risposta a questo ridimensionamento può assumere tre forme. O accettiamo semplicemente servizi pubblici più poveri e ridotti, o protestiamo e chiediamo che lo Stato continui a fare ciò che sempre fa, o scegliamo un’opzione meno pigra e irrealistica ovvero analizziamo modalità in cui i cittadini e i servizi possano lavorare insieme per adattarsi al declino dei finanziamenti.
In terzo luogo, e cosa più importante, l’ethos della “grande società” raccoglie importanti sviluppi dell’economia più estesa. La diffusione del web interattivo sta rapidamente rompendo alcune delle gerarchie tradizionali che esistono nella nostra economia e che ponevano i consumatori passivi al cuore della pratica commerciale.
Per esempio, le aziende fanno sempre più affidamento su innovazioni generate dal consumatore per affinare e creare nuovi prodotti e mercati. In effetti, la stessa distinzione tra produttore e consumatore si confonde in molte aree. Il mercato delle app e il gioco online Second Life hanno permesso ai consumatori di trasformarsi in produttori e generare entrate. Mentre la tecnologia della stereolitografia di prima generazione promette ai consumatori di diventare, in realtà, creatori di beni.
Come risultato, il web ha il potenziale radicale di ampliare l’estensione e il numero di individui che partecipano all’attività imprenditoriale dal momento che essi scoprono di aver accesso alle risorse per il design, il marketing e la distribuzione che precedentemente erano riservati a un gruppo elitario. In breve, come nel caso della visione di “grande società” per il settore pubblico, il settore privato sembra anch’esso muoversi verso un ethos in cui individui e gruppi di individui assumono ruoli un tempo riservati alla gerarchia aziendale.
Queste tendenze e questi valori sono molto più ampi e radicali rispetto al solo modello mutualistico. Ciò non per denigrare quest’ultimo che, come mostra William Davies, ha molto da offrire, tuttavia esso da solo non coglie quegli sviluppi economici che riguardano una spontaneità e una democratizzazione dell’attività imprenditoriale e aziendale che si estende oltre le questioni intrinseche su governance e organizzazione.
Di conseguenza, l’ideale della “grande società” è molto più vicino del mutualismo allo zeigeist emergente e alle nuove tendenze economiche.
Pertanto, suggerirei che la sinistra vada oltre e più in là dell’entusiasmo per il mutualismo e adotti invece l’enfasi riposta dai conservatori sulla grande società nel settore pubblico, spingendo, però, affinché il concetto venga esteso all’intera economia – magari una “grande economia”. Così, proprio come la “grande società” cerca di sfidare le gerarchie istituite nei servizi pubblici dando più forza agli utenti, la “grande economia” tenterebbe di rompere le gerarchie costituite della Gran Bretagna aziendale rafforzando una nuova razza di imprenditore e consumatore online.
Cosa potrebbe significare nella pratica un tale allineamento dei socialdemocratici con coloro che stanno trasformando la nostra economia?
Almeno vorrà dire cercare strade per una maggiore uguaglianza e mobilità sociale attraverso politiche che promuovano la creazione dell’economia più moderna e competitiva fondata su queste nuove pratiche commerciali. Ciò richiede un certo slittamento dalla posizione socialdemocratica di default che consiste nel considerare i modelli di tasse e benefici e di spesa sui servizi pubblici come l’unica strada per una società più equa.
Significa accettare che il ruolo dello Stato debba essere sempre più quello di assicurare che gli investimenti affluiscano verso le parti più innovative dell’economia, di garantire che abbiano le giuste capacità per sfruttare queste innovazioni e di spingere l’imprenditoria inglese a competere sui mercati più vivaci e difficili. Vuol dire difendere e sostenere quelle aziende, quegli innovatori e quegli imprenditori che hanno la conoscenza e la volontà di utilizzare l’interattività del web per creare e raggiungere nuovi mercati. Tuttavia ciò non può essere semplicemente una ritirata delle politiche economiche neo-labouriste. In effetti, il più grande fallimento del New Labour, dal punto di vista economico, è consistito nel fatto che mentre si faceva un gran discutere di investimenti, capacità e produttività, esso non è stato sufficientemente forte nel farsi carico dell’inerzia e della compiacenza imprenditoriale che hanno ostacolato a lungo l’economia britannica. Invece dobbiamo combinare una politica industriale guidata da uno Stato senza vergogna proattivo con un linguaggio e un tono che riflettano lo spirito radicale di apertura, creatività e imprenditorialismo di nuova frontiera che caratterizza il web.
Senza dubbio il mutualismo ha una parte da giocare ma si tratta più di un ruolo di spalla che da protagonista.
(Traduzione di Martina Toti)