Alla storica settimana di riflessione di un gruppo di intellettuali cattolici, tenuta a Camaldoli dal 17 al 23 luglio 1943, sotto la direzione di monsignor Adriano Bernareggi, vescovo di Bergamo e assistente ecclesiastico della Fuci (Federazione universitaria cattolica italiana), che produsse nel 1945 il Codice di Camaldoli è stato dedicato un convegno, nella stessa località, dal 21 al 23 luglio 2023, cui hanno partecipato il presidente della Repubblica e il presidente della Conferenza episcopale italiana, il cardinale Matteo Zuppi. Attorno a questo ottantesimo sono stati scritti articoli e saggi, tra cui quelli raccolti nella rivista Mondoperaio. Gli appelli “Tornare a Camaldoli”, “Ripartire da Camaldoli”, “Per una Camaldoli europea” hanno attraversato più di una presa di posizione. In particolare, il cardinale Zuppi ha teorizzato la necessità del mito fondativo di Camaldoli, considerato, appunto, “mito costituente”. Anche nel senso più preciso, per il quale lì sarebbe stato fabbricato “l’inchiostro con cui è stato scritto il testo della Costituzione”.
Tutto ciò che si intravede dietro l’inevitabile retorica degli anniversari sono due ferite, per niente affatto rimarginate, a quanto pare: quella della fine del partito unico dei cattolici, la Democrazia cristiana, e quella della diaspora politica attuale degli stessi, distribuiti ormai sull’intero arco politico e, pertanto, largamente insignificanti sul piano della rappresentanza e del governo, nonostante una radicata presenza nella società e, in particolare, nel Terzo settore. Se hanno dei valori non negoziabili, mancano della forza per resistere alla negoziazione.
Sul piano rigorosamente storiografico, non c’è molto da aggiungere alla ricerca di Alessandro Persico, ll Codice di Camaldoli. La Dc e la ricerca della “terza via” tra Stato e mercato (1943-1993). Agostino Giovagnoli, riportandone le conclusioni, afferma, a sua volta, che “la mitica Settimana di Camaldoli del luglio 1943, su cui si erano concentrate in ambito cattolico tante speranze, fu in sostanza un fallimento”. Non solo perché non vi andarono, per le ragioni più diverse, molti di coloro che poi stesero materialmente il Codice, ma, soprattutto, perché vi prevalsero “i teologi”, preoccupati di non allentare la presa gerarchica sul laicato cattolico. Il quale era visto soltanto come “collaboratore dell’apostolato gerarchico”.
E fu un fallimento rispetto alle intenzioni di quella parte del Vaticano che puntava a organizzare direttamente movimenti politici collaterali, alle dirette dipendenze della gerarchia. Pio XII era favorevole a un partito cattolico, ma non certo come frutto di un’iniziativa autonoma dei laici. Monsignor Tardini, sostituto alla Segreteria di Stato del Vaticano, ne voleva addirittura due: un partito cattolico orientato a destra e un partito cattolico orientato a sinistra, ambedue sotto lo stretto controllo vaticano. Monsignor Montini, il futuro Paolo VI, anch’egli sostituto alla Segretaria, era più maritainiano: appoggiava il progetto degasperiano di un partito cattolico, la Dc, che prevedeva di lasciare via libera all’autonomia dei laici cattolici in politica. Jacques Maritain aveva distinto in Umanesimo integrale due posizioni del laico cattolico: quella “en tant que chrétien“, che obbedisce alla Chiesa, è fedele ai suoi riti e ai suoi dogmi; quella “en chrétien“, per la quale esercita la sua autonomia di giudizio e di azione in tutte le questioni temporali.
Alla fine, quello di De Gasperi-Montini si rivelerà il progetto vincente. Da questo punto di vista fu un fallimento provvidenziale. La paura del comunismo spinse Pio XII ad appoggiare quella opzione, nonostante le frizioni con il cattolico-liberale De Gasperi, di cui non apprezzava appunto l’esercizio concreto dell’autonomia di giudizio e di azione e qualche “disobbedienza”.
Quanto ai contenuti del Codice, sul piano della teoria economica prevalse una terza via tra capitalismo e socialismo, però diversa da quella corporativa, che proveniva da Toniolo, dalla Rerum Novarum e che il Fascismo aveva tramutato in autarchica, e che era ancora teorizzata da Francesco Vito, da Amintore Fanfani e da Giorgio La Pira all’Università cattolica di Milano. Nel dibattito della Costituente, La Pira era arrivato a proporre una terza Camera, quella delle Corporazioni. Lo Cnel è tutto ciò che ne resta. L’Umanesimo liberale di Wilhelm Röpke, che non era keynesiano, e che diventerà consigliere di Adenauer, ispirava l’ipotesi di Sergio Paronetto di un sistema economico non più corporativo-autarchico, che fosse in grado di coniugare l’efficienza del mercato, la libertà dei singoli e la giustizia sociale cristiana. Sarà questa elaborazione a influire sulla formulazione degli articoli della Costituzione. Saranno Paronetto, Saraceno, Vanoni a dare corpo a queste posizioni.
Sugli altri contenuti, Stefano Ceccanti, in un recente Convegno tenuto a Camaldoli, dà un giudizio severo. La filosofia istituzionale era caratterizzata da una “totale mancanza di riferimenti ai partiti e al loro pluralismo nonché agli assetti istituzionali, ai rapporti tra gli organi dello Stato, alla separazione dei poteri e alla loro interazione”. E rileva anche un “ritardo culturale” non tanto rispetto ai decenni successivi della stessa elaborazione cattolica, ma, già allora, in relazione all’elaborazione precedente di Maritain e di Emmanuel Mounier.
“Il ritardo culturale consisteva nell’uso tradizionalistico del diritto naturale, nella visione della Chiesa cattolica come ‘societas perfecta’”, in grado di comprendere e interpretare in modo autosufficiente non solo la rivelazione divina, ma anche una legge naturale, intesa in modo statico e astorico. Donde la pretesa di costituzionalizzare l’indissolubilità e il carattere gerarchico del rapporto marito-moglie nel matrimonio, la distinzione tra figli legittimi e illegittimi col rifiuto di equipararne i diritti, il rifiuto della co-educazione nel sistema scolastico per la sua “uguaglianza livellatrice”, le scuole riservate alle sole donne per la loro funzione familiare, la proibizione della propaganda contraccettiva, le sanzioni penali per qualsiasi forma di aborto anche terapeutico, la confessionalità dell’insegnamento pubblico e, non casualmente, il rifiuto della libertà religiosa, con la sola ammissione della tolleranza religiosa sia pure aggettivata come “schietta”. Come sottolinea Ceccanti: “Questa parte sembra segnata in modo marcato dall’eredità negativa dell’intransigentismo, aggravato in Italia dai lunghi decenni della Questione Romana e, quindi, dall’insistenza su una sorta di peculiarità italiana, da una debolezza del Paese che solo una sorta di tutela religiosa, di protezione ecclesiastica della democrazia a favore di un ordine tradizionale, avrebbe potuto innervare e salvare”.
Intanto, proprio il 26 luglio 1943 veniva diffuso un opuscolo, a firma Demofilo, in cui De Gasperi prospettava la costruzione del futuro partito cattolico. “Partito cattolico”, non “partito di cattolici” come era il Partito popolare di don Luigi Sturzo. Era evidente che De Gasperi teneva realisticamente conto delle pressioni fortissime del Vaticano, diviso al suo interno tra chi voleva un partito quale braccio politico della Curia vaticana e chi lo voleva autonomo, ma unito nel volerlo “cattolico”. L’opuscolo era intitolato “Le idee ricostruttive della Democrazia cristiana”. Tra i collaboratori c’erano quasi tutti vecchi Popolari, tra cui Gronchi, Grandi, Campilli, Bonomi, Gonella, Saraceno, Scelba, Spataro. Nel 1944 quell’opuscolo sarà licenziato quale il programma definitivo della Dc. Non c’erano “camaldolesi”. D’altronde la fusione tra i professorini della Cattolica (Dossetti, Fanfani, Lazzati, La Pira), i Fucini di Camaldoli e gli ex-Popolari avverrà lentamente, in seguito, non senza tensioni, che si protrarranno fino agli anni ’60 dentro la Dc, dando luogo a varie correnti.
Fin qui la storia, più o meno, della vicenda di Camaldoli 1943 e della pubblicazione del Codice nel 1945. Di qui in avanti comincia solo la nostalgia. Un’operazione Camaldoli è oggi impraticabile.
Il cardinale Zuppi ha affermato che “in questa prospettiva, sarebbe importante una Camaldoli europea, con partecipanti da tutt’Europa, per parlare di democrazia e Europa. I padri fondatori hanno avuto coraggio, rompendo con le consolidate logiche nazionalistiche e creando una realtà mai vista né in Europa né altrove. Nella pace, bisognava rendere solidali le democrazie. Sarebbe importante che i cristiani europei tornassero a confrontarsi perché l’Europa cresca, ritrovi le sue radici e la sua anima, si doti di strumenti adeguati alle sfide”.
Rispetto a questo pensiero desiderante, la Camaldoli storica può funzionare in realtà solo come mito, come riconosce lo stesso Presidente della Cei.
Forse risponderà di più e più realisticamente a questa esigenza il Convegno di Camaldoli, che si terrà tra il 5 e l’8 ottobre 2023, organizzato dalla Rivista Il Regno, che ha come oggetto “La Terza Questione – La Chiesa, i cattolici e l’Italia”. “Terza” dopo la prima post-unitaria e la seconda, che è coincisa con il periodo del partito unico dei cattolici. La relazione introduttiva di Gianfranco Brunelli, Direttore del Regno, ha come oggetto: “Una nuova questione cattolica”. Perché una questione cattolica continua a esserci drammaticamente: quella del prezioso bacino dell’esperienza religiosa, che fa fatica a trovare i canali di uscita verso la cultura e verso la politica.
Foto di copertina: Vue de Genes et des environs depuis la route de Camaldoli di Luigi Garibbo (1782-1869), Collezione Topografica del Comune, inv 1406 © Luisa Ricciarini/Leemage (Photo by leemage / Leemage via AFP).