L’articolo fa riferimento al discorso di Mohammad Khatami ex presidente dell’Iran letto durante gli Istanbul Seminars 2012 organizzati da ResetDoc.
Il messaggio del presidente Khatami racchiude due punti fondamentali sui quali vale la pena di soffermarsi. Il primo riguarda il concetto di «dialogo di civiltà», il secondo l’idea di giustizia. E nel contesto iraniano questi elementi sono strettamente legati.
Quando parla del dialogo di civiltà, il presidente Khatami si riferisce a una concezione transnazionale della civiltà stessa, poiché – almeno a suo giudizio – l’Islam può ottenere il riconoscimento dell’altro solo come ideale universale transterritoriale. Credo tuttavia, se posso esprimere una piccola critica, che occorra sottolineare come il divario tra la nazione territorialmente definita e la civiltà non sia solo di ordine territoriale, ma anche di principio.
Mi riferisco alla differenziazione proposta da Norbert Elias tra civiltà corrispondente alla nazione e civiltà come nozione transnazionale. La dimensione trascendentale della civiltà, intesa come impulso spirituale, ci permette di muovere una critica all’idea di Stato nazione. Non so fino a che punto egli persegua tale obiettivo; resta il fatto che la tensione tra i concetti di nazione e civiltà pone il problema della fedeltà dei cittadini – in questo caso gli iraniani – nei confronti del loro Stato.
Credo che il dialogo tra culture e civiltà, giustamente auspicato da Khatami, sia possibile solo se vi è simmetria e uguaglianza tra gli attori nell’arena internazionale. In caso contrario, infatti, non si potrebbe dare per scontata la specificità dell’altro.
Detto questo, nel discorso di Khatami non si fa alcun cenno al fondamentale processo di riumanizzazione della società iraniana, né al problema della giustizia, che svolgeranno un ruolo determinante nel futuro del paese. Per «riumanizzazione» – concetto di cui si è già discusso con riferimento alla Primavera araba, all’Europa dell’Est e all’America Latina – intendo la ricomposizione del trauma storico-sociale, provocato dalla violenza a cui tali società state sottoposte, in una memoria narrativa per superare la spirale di odio e violenza e sostituirla con una prospettiva di pace, dialogo e riconciliazione. Nelle condizioni attuali è molto difficile affrontare il problema della giustizia in questi termini, perché gran parte della popolazione iraniana è convinta – e a ragione – di non essere responsabile dei crimini perpetrati dal suo Stato.
E Khatami non spiega che l’Iran non dovrebbe ripiegare su una giustizia dei vincitori, perché il prezzo da pagare dopo la fine dell’attuale regime sarebbe un’escalation delle violenze. Le questioni chiave per il futuro dell’Iran che un politico come Mohammad Khatami dovrebbe sollevare riguardano innanzitutto la definizione di un’idea condivisa di giustizia. La scommessa consiste, almeno in parte, nel criticare e superare la cultura della violenza.
Uno degli aspetti più interessanti del messaggio di Khatami, che considero un attore politico di primaria importanza nell’Iran dei giorni nostri, riguarda proprio l’affermazione dell’idea di democrazia e la promozione della riconciliazione nazionale, da lui caldeggiata in più di un’occasione. Penso tuttavia che sia necessario guardare con più attenzione all’esperienza di altri paesi che hanno creduto nella promessa della democrazia – basti pensare al Sudafrica – e si sono letteralmente trasformati voltando pagina rispetto al passato.
(Traduzione di Enrico Del Sero)