Storia di una transizione
La Tunisia si configura come una delle, se non la sola storia di successo di quell’intensa fase di riforme successiva alla cosiddetta Primavera Araba. Pur nel perdurare di tensioni sociali, timori per la compagine di sicurezza e depressione economica (specie al sud del paese), analizzando i passaggi con i quali è avvenuto il cambio di governo in Tunisia, non si può non concludere che siamo di fronte alla prima democrazia stabile dell’area MENA (Medio Oriente e Nord Africa).
La rivoluzione tunisina, secondo la narrativa locale chiamata thawra al-hurriyya wa’l-karama (rivoluzione di libertà e dignità), ha mirato, innanzitutto, a scardinare le logiche di un regime neo-patrimoniale, qual era quello di Ben Ali. Lo scioglimento del partito RCD (Raggruppamento Costituzionale e Democratico) e la fuga del Presidente hanno sancito, parallelamente all’emergere di nuovi attori, come gli islamisti di al-Nahda, lo svecchiamento del sistema politico e la sua rivitalizzazione. Come nelle democrazie pluraliste, il crollo dell’ingombrante sistema benalista ha permesso l’erompere di un’arena politica composta da una polifonia di voci, spesso in contrasto tra loro e in perenne ricerca del consenso. Ad esempio, la troika che ha guidato il paese nella prima fase della transizione, quella costituzionale (2011-2015), era formata da partiti dissimili ma uniti dal comune intento di dotare la Tunisia di una nuova costituzione: al-Nahda ha fatto la parte del leone, forte della maggioranza parlamentare compatta e coesa; il CPR (Congresso per la Repubblica) di Moncef Marzouqi, ideologicamente affine agli islamisti di al-Nahda, è risultato meno ideologizzato; infine Ettakatol, guidato dall’ex Presidente interinale Mustapha Ben Jafar esprimeva istanze liberali e pertanto era meno allineato al fronte composto dai primi due partiti. A fare da contraltare a ciò, è emerso quasi subito il partito liberal-secolare Nida Tunis fondato dall’attuale Presidente el-Beji Qaid Essebsi e da numerose figure chiave della scena politica tunisina, come Mohsen Marzouk. Tale partito era nato con esplicite intenzioni di contenimento anti islamiste ma, già durante la fase costituente, sono stati registrati molti segni di distensione tra Rashid al-Ghannouchi, leader di al-Nahda, e lo stesso Essebsi.
Tra il 2014 e il 2015, dopo l’adozione del nuovo testo costituzionale e le elezioni dell’attuale Parlamento e del Presidente della Repubblica, il sistema partitico ha conosciuto diverse novità: innanzitutto la scomparsa di Ettakatol e la perdita di consensi di CPR, unitamente alla crescita di Nida, all’erompere di altri partiti come l’UPL (Unione Patriottica Liberale) del magnate Slim Riahi e l’ingresso in Parlamento della sinistra radicale del Fronte Popolare. Questo partito possedeva già alcuni rappresentanti nell’Assemblea Costituente ma nel corrente Parlamento vanta ben 15 deputati. Recentemente, inoltre, Mohsen Marzouk, rappresentante dell’ala sindacale di Nida Tunis, in rotta di collisione con il figlio del Presidente, Hafedh Essebsi, ha deciso di formare una propria autonoma fazione politica, denominata Machrou Tunis.
Lo scenario tunisino, in altre parole, si è evoluto nel giro di pochi anni, transitando da un informe sistema di piccoli partiti agguerriti e in lotta tra di loro ad un sistema tendenzialmente bipolare ma stemperato dalla presenza di altri soggetti minori capaci di catalizzare un numero di voti sufficienti a rappresentare un tertium non datur e pertanto influenzare le negoziazioni.
Evoluzione di al-Nahda
È fuor di dubbio che la transizione politica tunisina si è giovata anche del prudente atteggiamento degli islamisti di al-Nahda. Questo partito, da un lato ha saputo attrarre la maggioranza relativa di voti alle elezioni dell’Assemblea Costituente, forte di una campagna elettorale dai toni forti e polemici. Dall’altro, il partito ha potuto sfruttare la propria immagine di resistenza e partigianeria al regime di Ben Ali, “vantando” un numero di candidati (poi eletti) tra le fila dei perseguitati politici ed esiliati del precedente regime. Ma i nahdaoui sono stati in grado di dimostrare ampia capacità d’adattamento e pragmatismo distanziandosi sempre di più dal nucleo originario del movimento, MTI (Movimento della Tendenza Islamica) fino a divenire un partito sostenitore della cosiddetta democrazia islamica. Ciò è stato realizzabile grazie al sapiente ingegno di al-Ghannouchi e alla sua continua opera di ijtihad e rinnovamento della linea politica del partito.
In occasione dell’ultimo congresso, tenutosi nella primavera del 2016, la dirigenza di al-Nahda ha deciso di recidere con il passato dettato dall’Islam politico e ha proposto una netta separazione tra la sfera religiosa e quella politica. Ciò significa che i membri di al-Nahda che desiderano perseguire una carriera politica e candidarsi agli organi della Repubblica, devono dar prova di aver abbandonato le proprie ambizioni religiose, ad esempio cessando di fare proselitismo o agire da imam. Viceversa, chi voglia continuare con l’attività di studio delle scienze islamiche non potrà ricoprire incarichi pubblici ufficiali, al pari del medesimo al-Ghannouchi che, dal 2010 in poi, non ha mai preteso di ricoprire una carica diversa da quella di segretario del partito.
Ma la strategia politica di al-Nahda è anche caratterizzata da un sapiente uso delle moderne tecniche di comunicazione di massa, come l’impiego dei nuovi media e di slogan propagandistici. Il partito, in altre parole, ha dato prova di aver raggiunto un livello di maturità nelle strategie comunicative che lo rendono il vero ago della bilancia nell’arena politica del paese. Le difficoltà interne a Nida Tunis, infatti, acuite dalla scissione della fazione di Marzouk, hanno di certo agevolato gli islamisti che, di fatto, detengono la forza politica più compatta in Parlamento. Ciononostante, al-Nahda ha scelto di mantenere un atteggiamento cauto e, come nel corso della prima legislatura, preferisce governare in coalizione e cooptazione, piuttosto che in maniera decisionista.
Tecnocrati al potere
Un ultimo ingrediente che si aggiunge a quelli finora descritti nella ricetta che ha permesso alla transizione tunisina di procedere senza particolari intoppi è stata la nomina di governi a-partitici e privi di una coloritura politica ben precisa. In seguito all’elezione del corrente Parlamento nel 2014, evento in cui al-Nahda conquistò 69 seggi e Nida Tunis 86, è stato formato il governo di Mehdi Jomaa in carica dal 29 gennaio 2014 al 6 febbraio 2015. In seguito al termine del suo mandato, è toccato ad Habib Essid, in carica dal febbraio 2015 all’agosto 2016. Ad oggi, il Primo Ministro designato è Yousef Chahed.
La transizione da Jomaa a Essid è avvenuta contestualmente alla tornata elettorale e, dunque, al rinnovo dell’organo assembleare – l’Assemblea Costituente che ha lasciato il posto al Parlamento Ordinario (Majlis Nuwwab al-Shab o Assemblea dei Rappresentati del Popolo). Per l’occasione è stato ritenuto necessario rinnovare le cariche politiche e, pertanto di rimuovere l’esecutivo. Essid è stato il primo Capo del Governo ad essere stato nominato dopo l’approvazione della Costituzione, segnando quindi una cesura non solo con il vecchio regime ma anche con il momento costituente. Nel luglio del 2016 il suo governo è stato colpito da mozione di sfiducia da parte del Parlamento, sancendone così la fine. La nota più significativa di tali avvicendamenti risiede nel meccanismo di pesi e contrappesi tra i poteri dello stato instaurato dalla nuova Costituzione, cartina al tornasole del costituzionalismo liberale. Questo processo implica un elemento di grande novità e dalla portata sicuramente rivoluzionaria ovvero che il sistema politico tunisino, ad oggi, è dotato di strumenti funzionanti tramite i quali i poteri pubblici, specie l’esecutivo, può essere limitato nella propria azione dal legislativo e dal giudiziario. Ciò, insieme alla rotazione di esecutivi tecnici specializzati nell’adottare le riforme ritenute necessarie per rilanciare l’economia, è di certo uno dei principali passi verso una completa stabilizzazione, almeno sul piano politico.
Molto più lenta risulta, invece, la transizione dell’economia che, tuttavia, nonostante gli indici in ribasso degli ultimi anni, sembrerebbe far registrare una rinnovata fiducia da parte dei mercati e degli investitori, attratti dalla progressiva normalizzazione del paese e dalle agevolazioni fiscali che dovrebbero stimolare l’afflusso di capitali stranieri.
Conclusioni
La transizione tunisina sta entrando nel suo sesto anno e, di certo, sta lanciando segnali positivi di riuscita. Per tali ragioni, non è azzardato parlare del caso in questione come dell’unica storia di successo tra i paesi della cosiddetta Primavera (Buldan al-Rabi’a). Il momento costituente, oltre a segnare l’adozione di una nuova Costituzione, ha anche sanato un “problema” identitario con cui la Tunisia non aveva, evidentemente, ancora fatto i conti. Le forze islamiste, sulle quali all’inizio della transizione pesavano non pochi dubbi, si sono rivelate molto meno interessate a “islamizzare”, come si temeva, il paese e molto più interessate, invece, a difendere quanto già ottenuto in termini di diritti civili e sociali. Inoltre, lo “sdoganamento” di al-Nahda ha permesso quanto in altri paesi dell’area non è ancora avvenuto: la realizzazione di un sistema politico aperto in cui è possibile la pacifica convivenza di soggetti diversi ed in cui lo stato è arbitro e garante. Sul profilo transitologico questo è di certo il principale successo raggiunto poiché la creazione di una “statualità” solida è di certo la precondizione necessaria per ogni eventuale sviluppo futuro.
Una chiara ed opportuna messa a punto della situazione politica e statuale della odierna Tunisia, esempio ( stimolante speriamo) per i paesi del MENA.